La vicenda di Valentina Maran, pubblicitaria con contratto a tempo indeterminato, messa alla porta dalla sera alla mattina.
Io sono una che sputa nel piatto dove mangia. Non amo la pubblicità. E non amo i pubblicitari (nonostante io sia una di loro). Non li amo soprattutto ora che mi hanno fatta fuori. Esatto. Pochi giorni fa. Una bella lettera di licenziamento dove mi si avvisa che, pieni di cordoglio e dispiacere, si vedono costretti a sopprimere il mio posto di lavoro. Giustificato motivo oggettivo, si chiama. Io la chiamo pugnalata alle spalle. O calcio nel culo. A seconda. Funziona così: che torni dalla sala di incisione dopo aver speakerato lo spot sul quale lavori da mesi e che finalmente sta per vedere la luce. Torni senza aspettarti niente. I tuoi capi ti chiamano in sala riunioni e ti dicono “ci dispiace ma dobbiamo darti una brutta notizia: abbiamo perso un cliente grosso e dobbiamo fare dei tagli. Abbiamo deciso di far fuori te. Puoi scegliere se aspettare la lettera di licenziamento o se dare le dimissioni tu. Se le dai tu, ti diamo due mesi di preavviso retribuito più un mese di stipendio. Se aspetti la lettera invece ti paghiamo solo il preavviso.”
Continua ...
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