Marcello Dell’Utri, Clemente Mastella e Mario Tassone spuntano nelle conversazioni in codice tra i boss Piromalli. Sullo sfondo di una nuova guerra di mafiaLa crisi era un lusso che proprio non potevano permettersi. Non ora che a Gioia Tauro si erano rotti gli antichi equilibri e che sull’affare più lucroso, quello del Porto, gravavano anche le mire delle ‘ndrine della vicina Rosarno. Per questo avevano stabilito che la prima mossa da fare era quella di alleggerire la posizione carceraria del capo, detenuto al 41bis, e rendere più fluido il flusso di rapporti che avrebbe permesso ai sodali di fruire liberamente della sua illuminata guida e delle sue lucide direttive.Adesso che la loro storica alleanza con i Molè aveva ceduto il passo alla guerra di mafia, i Piromalli - tra le più potenti famiglie nella storia della ‘Ndrangheta, da sempre collegata con Cosa Nostra – erano del tutto intenzionati a non retrocedere minimamente dalla propria posizione di leadership: sia per il controllo del territorio che, soprattutto, per quello degli affari. E a tal fine avevano attivato quei numerosi contatti con il mondo politico e istituzionale che nel corso del tempo, sotto la guida pluridecennale del superboss Giuseppe Piromalli avevano contribuito a permetterle il passaggio da ‘ndrina agropastorale a vera holding del crimine. Quei contatti che oggi, almeno per i fatti in oggetto, sembrerebbero rispondere, tra gli altri, ai nomi di Marcello Dell’Utri, Clemente Mastella e Mario Tassone, nell’ordine senatore, ex ministro della Giustizia, ex vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia.Le conclusioni a cui sono giunti il sostituto alla Pna Roberto Pennisi e i pm di Reggio Calabria Salvatore Boemi, Michele Prestipino, Roberto Di Palma, Maria Luisa Miranda nelle oltre mille pagine di provvedimento di fermo sfociate nel blitz dello scorso 22 luglio, tracciano un quadro tutto nuovo degli equilibri mafiosi sulla Piana. Dove a farne le spese sono proprio i Molè, troppo violenti e poco “moderni” nella gestione del potere e per questo già falcidiati dalle indagini, dai processi e dalle relative condanne che avevano neutralizzato l’intero vertice del nucleo risparmiando soltanto Rocco Molè, l’unico dei fratelli a sfuggire all’ergastolo. Salvo poi finire vittima di un agguato mafioso il 1° febbraio del 2008, seguito, a poco meno di tre mesi di distanza, dall’imprenditore Antonino Princi, legato alla stessa cosca.
Continua ...
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