Ai diritti dei lavoratori precari è stata data una scadenza, come per lo yogurt. Si tratta del prossimo 23 gennaio. Dopo quel giorno decade ogni possibilità di impugnare un contratto di lavoro illegittimo.
Quando tutto viene considerato merce di scambio, dalle auto al sesso, dalle scarpe al lavoro, anche i diritti vengono considerati tali. Una merce, quest’ultima, che come tale non è data per sempre, ma a seconda delle necessità di un profitto, sia esso politico o economico. Nel caso dei diritti dei lavoratori precari, si tratta di entrambi i casi e si tratta di una merce prodotta negli operosi palazzi politici, dove più che rappresentanti dei cittadini sembra siedano capitani d’industria e loro vassalli, a giudicare dai provvedimenti che ne vengono fuori. E’ in questa condizione che i diritti mercificati devono essere ben digeriti da coloro che amano riempircisi la bocca, inghiottirli e poi rilasciare puzzolenti escrementi dove i lavoratori rischiano di affogare. Sarà per questo che ai diritti dei lavoratori precari, serviti alle tavole padronali, è stata data una scadenza, breve come fosse un yogurt.
Si sta parlando del termine stabilito nella legge 8 novembre 2010 n. 183, il cosiddetto “collegato lavoro” approvato dal governo Berlusconi, entro il quale i lavoratori precari hanno possibilità di impugnare un contratto a tempo determinato di dubbia legittimità. Un termine che non esisteva fino allo scorso 24 novembre, giorno dell’entrata in vigore del “collegato lavoro”, e pertanto prima che quel provvedimento fosse approvato, un lavoratore aveva la possibilità di fare causa per un contratto illegittimo, anche a distanza di anni dalla sua conclusione. La ragione era evidente quanto giusta: non porre la parte debole dei contraenti (il lavoratore) nella condizione di dover scegliere se vedersi riconosciuto un diritto o coltivare la speranza di essere riassunto, magari con un nuovo contratto a termine.
Tutto cambia, appunto, con l’entrata in vigore del “collegato lavoro”, che lascia al lavoratore 60 giorni di tempo dalla scadenza del contratto, per impugnarlo e solo 270 giorni dalla data di impugnazione per ricorrere in tribunale. Poiché l’efficacia di questo odioso provvedimento è retroattivo, tutti i contratti scaduti prima del 24 novembre 2010 possono essere impugnati entro e non oltre il prossimo 23 gennaio. Per farlo ed avere poi 270 giorni di tempo per eventualmente rivolgersi ad un giudice, occorre inviare una raccomandata ai datori di lavoro presso i quali si è lavorato con contratto a termine, contenente l’impugnazione della risoluzione del loro contratto di lavoro. È il solo modo per vedersi riconosciuti, in base ai singoli casi, un risarcimento o anche l’assunzione a tempo indeterminato. E’ il solo modo, se agito in maniera diffusa, per evitare l’efficacia di quello che di fatto risulta essere un condono per quei datori di lavoro, pubblici e privati, che hanno abusato dei contratti a termine ed approfittato delle condizioni di precarietà dei lavoratori.
Nessun commento:
Posta un commento