Alcuni "guru" della finanza americana fanno previsioni catastrofiche sull'evoluzione della crisi scatenata dai "subprime" immobiliari; altri, in America e in Europa, usano toni meno drammatici e prevedono che al massimo entro un anno la tempesta si placherà e rivedremo il sereno. Nessuno può giurare sull'una o sull'altra tesi, le scommesse fanno parte del gioco e del funzionamento del mercato, ma bisogna esser ben consapevoli che si gioca a testa o croce, o al rosso e nero: cinquanta per cento di probabilità di vincere o di perdere. Ciò premesso, ribadirò quanto scrissi nel giugno dell'anno scorso di fronte ai primi segnali dell'uragano: questa non è una crisi come le altre, non si limita ad un settore geografico del pianeta ma lo coinvolge tutto, non ha soltanto carattere finanziario ma dilaga nell'economia reale e intacca inevitabilmente i cosiddetti "fondamentali", cioè gli elementi di fondo che sorreggono l'economia. Merita quindi d'esser chiamata "grande crisi", definizione fin qui riservata a designare quella che cominciò a Wall Street nel 1929, si diffuse in Europa nel 1931 e non cessò di incombere sull'intero pianeta fino allo scoppio della guerra del 1939, nonostante che nel frattempo ci fosse stato il "New Deal" rooseveltiano e i fascismi europei. Siamo dunque di fronte ad una grande crisi. Forse sbollirà tra un anno, forse si aggraverà ancora di più e si prolungherà. Forse intaccherà le strutture portanti del capitalismo e della democrazia oppure - a tempesta passata - tutto tornerà come prima. Ma a quest'ultima ipotesi, francamente non credo.
Mario Deaglio in un bell'articolo sulla "Stampa" di qualche giorno fa, ha spiegato quali sono i mutamenti più che mai reali che stanno fin d'ora modificando le strutture del sistema economico mondiale. Concordo completamente con la sua analisi che segnala i tre fattori della mutazione in corso. Primo: una massa sterminata di nuovi consumatori si sta affacciando sul mercato delle derrate alimentari di base, soprattutto i cereali e il grano in particolare. Quantitativamente si tratta di almeno un miliardo di persone e nei prossimi anni questa cifra è destinata a raddoppiare a parità di abitanti del pianeta; ma sappiamo già che il tasso demografico è destinato ad aumentare di molto la popolazione mondiale con gli effetti nutrizionali che ne deriveranno. Secondo: le nazioni emergenti (Cina, India, America Latina) hanno fame di energia e premono sulle risorse esistenti, in particolare sul petrolio. La ricerca di nuovi giacimenti e di nuove fonti sarà certamente stimolata, ma non abbastanza da ridurre l'effetto della domanda sui prezzi. Terzo: il dollaro sta perdendo una parte del suo ruolo di moneta esclusiva sia per quanto riguarda le transazioni commerciali sia come unica moneta di riserva del valore.
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