Oggi Riina interrogato dai pm.
PALERMO — Nel tentativo di ricostruire la presunta trattativa tra mafia e Stato dopo le stragi del 1992, i magistrati di Palermo sistemano un tassello del mosaico che potrebbe riscontrare le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco Vito Ciancimino avvicinato dai carabinieri per tentare di fermare la strategia delle bombe avviata da Totò Riina e arrivare alla cattura del boss.
Tassello fornito da Luciano Violante, all’epoca deputato del Pds e dal settembre ’92 presidente della commissione parlamentare antimafia. In quella veste - quindi in autunno, prima di dicembre quando Ciancimino fu arrestato per scontare la condanna definitiva che lo bollava come mafioso - fu avvisato dal colonnello Mario Mari, vice-comandante del Ros, che l’ex sindaco voleva incontrarlo. Violante spiegò che se era interessato a parlare alla commissione, Ciancimino doveva presentare una formale istanza scritta che l’organismo parlamentare avrebbe valutato. Mori tornò da «don Vito» e riferì la risposta, ma quello ribatté che non era interessato a un’audizione. Voleva parlare con Violante in via diretta e riservata. Un incontro non istituzionale, quindi, che Violante informato della precisazione rifiutò.
Questo il racconto dell’uomo politico reso ieri al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e al sostituto Roberto Scarpinato, titolari dell’indagine su contatti ed eventuali collusioni tra esponenti delle istituzioni e «uomini d’onore» ai tempi dell’offensiva terroristica di Cosa Nostra. Una testimonianza sollecitata dallo stesso Violante, dopo aver letto sui giornali le ultime dichiarazioni di Massimo Ciancimino a proposito delle mosse di suo padre con i carabinieri.
L’ex sindaco, ha raccontato il figlio, pretendeva che dietro gli ufficiali dell’Arma ci fosse una «copertura politica» completa: a livello ministeriale (il giovane Ciancimino la fa arrivare direttamente a Nicola Mancino, titolare del Viminale dal 1˚ luglio ’92) ma anche di opposizione.
Continua ...
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