Nino Di Matteo: “La politica mirava a colpire chi dava fastidio”
All'interno VIDEO intervista a Nino Di Matteo a Che tempo che fadi Francesco La Licata - 8 dicembre 2011
Nino Di Matteo è uno dei magistrati siciliani che da tempo scavano nel pozzo nero della storia della mafia e dei suoi agganci politico-istituzionali. È ovvio che - stando nelle umane cose - gli esiti delle diverse inchieste abbiano avuto destini differenti ed è normale che il suo lavoro si sia prestato ora al plauso, ora alle critiche. Comprensibile pure che, specialmente nei salotti della tollerante società civile palermitana, questo pubblico ministero spesso sia stato additato come «duro», se non addirittura «forcaiolo».
Un fatto, però, è certo: da lui sono passati i destini di tanti uomini pubblici travolti - qualche volta con decisioni contrastate - dal sospetto di collusione col nemico. Qualche nome, tra i più noti: Totò Cuffaro, il governatore siciliano oggi a Rebibbia con condanna definitiva, Bruno Contrada, l’ex capo della squadra mobile di Palermo prossimo a lasciare il carcere dopo una dura condanna, a Palermo non unanimemente accettata. Insomma una specie di castiga-potenti, il pm Di Matteo, con un compito ingrato: sostenere accuse poco nobili nei confronti di servitori dello Stato spesso considerati veri e propri eroi, come il generale Mori, il «capitano Ultimo», o il colonnello Obinu, carabinieri di un gruppo che vanta persino la cattura di Totò Riina.
Ora che si appresta a lasciare l’antimafia, costretto da una norma, Di Matteo mette mano a penna, ma per scrivere una requisitoria laica - un po’ da magistrato un po’ da cittadino che pensa - destinata non ad un collegio giudiziario ma a chi abbia voglia di approfondire i temi della giustizia. È nato così «Assedio alla toga» scritto col giornalista Loris Mazzetti, pubblicato dall’editore Aliberti.
Una requisitoria dura, dottor Di Matteo. Se la prende con tutti: politici, giornalisti, colleghi. Arriva a toccare le corde dell’allarme per la democrazia in pericolo.
«No, nessuna requisitoria. Non credo di aver il diritto di puntare il dito su nessuno, fuori dalle aule giudiziarie. Penso, però, di avere il dovere di intervenire su un tema cruciale e delicato, come quello della giustizia. E perciò dico senza mezzi termini che la riforma costituzionale proposta dal precedente governo mette a rischio il sacro principio dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, principio sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Per questo sarebbe auspicabile che non trovasse applicazione».
«No, nessuna requisitoria. Non credo di aver il diritto di puntare il dito su nessuno, fuori dalle aule giudiziarie. Penso, però, di avere il dovere di intervenire su un tema cruciale e delicato, come quello della giustizia. E perciò dico senza mezzi termini che la riforma costituzionale proposta dal precedente governo mette a rischio il sacro principio dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, principio sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Per questo sarebbe auspicabile che non trovasse applicazione».
L’ex ministro Alfano, però, continua a difendere la riforma, contrastata - a suo dire - dalle spinte conservatrici e corporative della magistratura.
«Questi sono slogan politici. La verità è che la cosiddetta riforma non tende a migliorare la giustizia intesa come servizio ai cittadini, ma a normalizzare una magistratura che ha dato fastidio alla politica, portando alla luce gli intrighi delle varie caste e gli abbracci innaturali con la criminalità».
«Questi sono slogan politici. La verità è che la cosiddetta riforma non tende a migliorare la giustizia intesa come servizio ai cittadini, ma a normalizzare una magistratura che ha dato fastidio alla politica, portando alla luce gli intrighi delle varie caste e gli abbracci innaturali con la criminalità».
Continua ...
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