Alzi lo sguardo al cielo e vedi i caldi raggi del primo sole mattutino e pensi che si, in fin dei conti c’è sempre qualcosa per cui valga la pena di viverla questa vita.
Ma d’improvviso... un groviglio di pensieri torna a torturarti la mente, sono pensieri che distruggono e sopprimono, e tu rimani li, inerme e senza la benché minima forza di reagire. Il tuo volto d’un tratto s’incupisce. E’ questione di un attimo. Un misero istante in cui pensi di essere veramente arrivato al capolinea. Lo scopo che ti eri dato nella vita ora non ha più senso, perché sai di non essere ascoltato e compreso. Ti senti sconfitto e pensi di averne abbastanza.
Alla fine è solo questione di pochissimi secondi, pensi. Un piccolo lasso di tempo per tornare a vivere e cominciare a sognare... un mondo migliore... un mondo più giusto.
E’ questo che deve aver pensato quella maledetta mattina di sei anni fa, il 15 marzo 2003, Giovanna Baino, giornalista presso l’AGI.
E’ un attimo. Quel giorno di marzo entra in redazione, saluta tutti e...
Tutto a un tratto s’ode un tonfo sordo e metallico. Nessuno si è accorto di nulla. Naturale. Ognuno pensa al suo. Ma molti sanno già tutto, lo sentono.
Pochi giorni dopo il direttore dell’agenzia dove lavorava, avvisa tutti in redazione: sul caso Baino si deve tacere. Perchè? Non si sa. Si dice sia per la tutela della privacy, per il rispetto nei confronti della “nostra cara”. Rispetto... di cosa?
“Vietato parlarne”, disse il gotha Pandolfi. E tutto tacque.
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