Dagli archivi le immagini delle torture e degli omicidi con cui
i generali di Buenos Aires si liberavano degli oppositori
MILANO - Il corpo di una donna morta da venti giorni, il segno delle torture con l’elettricità, le onde che l’hanno trasportata dalle acque al largo di Buenos Aires alle coste dell’Uruguay, e ancora lo smalto alle dita dei piedi. La prima prova fotografica dei «voli della morte», con i quali la dittatura argentina (1976-83) ha eliminato migliaia di oppositori (si contano 30 mila desaparecidos), riemerge solo adesso dagli archivi della Commissione interamericana per i diritti umani. E diventa pilastro del mega-processo in corso sui morti all’Esma, la Scuola di meccanica della Marina, ai tempi del regime trasformata in centro clandestino di reclusione.
FOTO E MAPPE - Sul tavolo del giudice istruttore Sergio Torres c’è la «cartellina 37»: 130 fotografie, accompagnate dagli appunti presumibilmente di un perito uruguayano. E dalle mappe delle correnti che indicano il percorso lungo il corso del Río de la Plata verso l’Atlantico, a dimostrazione che si tratta di desaparecidos argentini, spogliati, legati, narcotizzati di Pentotal, caricati sugli aerei e lanciati in acqua per scomparire. Ne hanno parlato i sopravvissuti, in modo parziale, per quello che avevano potuto capire. Poi, nel 1995, dodici anni dopo la fine della dittatura, il militare «pentito» Scilingo ha consegnato la verità al giornalista Horacio Verbitsky, raccontata nel celebre libro «Il volo».
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