Molti procedimenti sono saltati o corrono questo rischio, come quello che vede imputato Berlusconi. La legge Cirielli ha dimezzato i tempi per perseguire i reati, ora la magistratura propone di riallungarli
SULLA PRESCRIZIONE "parlano" i processi - tanti e importanti, dal G8 alla casa di Scajola, alla clinica Santa Rita, ai dossier Telecom, a Calciopoli, a Parmalat, alle stragi per l'amianto di Palermo e Torino, ai rifiuti di Napoli, ai casi Fitto e Tarantini, a Penati - che vivono una vita accidentata, sono saltati o rischiano di saltare, comunque arrancano verso la sentenza. Spesso con il senso di frustrazione di arrivare soltanto fino al primo grado. Quello di Mills non è certo un caso isolato. Un viaggio nelle inchieste e nei dibattimenti sparsi in Italia rivela subito che in pericolo sono soprattutto i processi per corruzione. Che avrebbero vissuto o vivrebbero una situazione diversa se il calcolo dei tempi concessi all'azione penale fosse diverso da quello attuale, stretto nel massimo della pena più un quarto. Alle spalle la legge Cirielli del dicembre 2005 che ha tagliato a metà lo spazio in cui lo Stato può perseguire l'azione penale. Una prescrizione allungata o congelata nel momento stesso in cui il giudice dà il via al rinvio a giudizio, come hanno proposto il vice presidente del Csm Michele Vietti e il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo, cambierebbe la storia delle inchieste. Naturalmente di quelle future. Perché se oggi si facesse una nuova norma, esse non potrebbe valere per i processi in corso, per la stessa ragione per cui le leggi ad personam di Berlusconi non sarebbero dovute valere per le indagini già aperte. A partire dalle sue.
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