Reati prescritti, nessuno pagheràper il crac del Comune
Chi pagherà? «Probabilmente, nessuno. I tempi di prescrizione sono troppo brevi e alcuni processi finiranno all’udienza preliminare. Non è giusto illudere chi attende giustizia». Il pm Maurizio Carbone, presidente della sezione tarantina dell’associazione nazionale magistrati, è brutalmente concreto. Il crac di Taranto resterà impunito. Carbone addolcisce il concetto: «E’ ragionevole ipotizzarlo».Sotto il peso di una zavorra pesantuccia, cioè un debito di 901 milioni di euro, il Comune di Taranto è affondato ufficialmente il 17 ottobre 2006. Dissesto finanziario. Ci vorrà ancora un po’ di pazienza per chiudere la pratica con una bolla di sapone. I processi rischiano di non concludersi. E quando la prescrizione avrà definitivamente cancellato falso, abuso di ufficio, truffa, peculato, corruzione, qualche altro reato contro la pubblica amministrazione e 17 inchieste giudiziarie, si avrà la certezza che non è successo nulla. Oppure - come dice il pubblico ministero Carbone - «che i magistrati hanno fatto processi inutili sapendo che si sarebbero conclusi con la prescrizione».Il caso Taranto - arresti, decine di indagati - ha lasciato la città al crac, le imposte locali al massimo (l’Ici è salita dal 6,25 al 7 per cento; la Tosap, l’occupazione del suolo pubblico, è raddoppiata) e a secco di risposte. Chi ha fatto sparire 901 milioni? Forse i dipendenti comunali che intascavano stipendi da quarantamila euro al mese? Impossibile: secondo i calcoli degli inquirenti, hanno fatto solo un «piccolo» buco da cinque milioni di euro. Allora gli imprenditori ai quali il Comune cedeva attività commerciali pagando perfino le bollette? Nessuna risposta. Luigi Lubelli, ex dirigente responsabile del settore finanziario comunale coinvolto in una mezza dozzina di inchieste, ha detto pubblicamente che i politici sapevano. Rossana Di Bello, sindaco per quasi sei anni, è uscita di scena il 25 febbraio 2006: condannata a un anno e quattro mesi per falso e abuso d’ufficio per l’appalto dell’inceneritore, si dimise. Da allora, tace. Dopo la condanna confermata in secondo grado, tre giorni fa la Corte di Cassazione ha annullato la condanna con rinvio. Dovrebbe farsi in Appello un nuovo processo. Ma il 5 marzo i reati saranno prescritti, come ricorda il suo avvocato, Rocco Maggi: «C’è la volontà di discutere il processo nel merito per chiedere l’assoluzione - dice - ma sappiamo, ovviamente, che in subordine c’è la prescrizione». E’ vero, Rossana Di Bello (ex Forza Italia) dovrà essere giudicata anche per altro. Con il suo vice Michele Tucci (Udc), per esempio, è accusata di avere truccato i bilanci di cinque anni. Per la procura, sono falsi. Si concluderà mai, il processo? E’ appena cominciato. Non c’è un solo grande appalto che non sia finito sotto inchiesta. La pubblica illuminazione (28 milioni). La proroga del servizio di vigilanza. La gestione della società partecipata Taranto Servizi. L’appalto per il porto turistico. La condotta fognaria sottomarina. Il telesoccorso. I maxi stipendi intascati mentre il Comune affondava. Carbone sottolinea che la legge ex Cirielli «ha dimezzato i tempi di prescrizione per i reati contro la pubblica amministrazione, sette anni e mezzo dal commesso reato, non della sua scoperta». E cita un caso esemplare vissuto da pm a Taranto: il processo contro l’ex direttore dell’azienda ospedaliera Giuseppe Nocco, ex senatore di Forza Italia, accusato di avere intascato tangenti pagate da alcuni imprenditori. «Quando sono cominciate le indagini la prescrizione per la corruzione era di quindici anni, poi è diventata di sette e mezzo. Come mi sono sentito? Come un calciatore che sta in campo e sa di dover giocare novanta minuti. E invece a un certo punto arbitro dice: si gioca fino al quarantacinquesimo». E’ una vicenda istruttiva, il caso Nocco. Solo l’udienza preliminare - e qui la ex Cirielli non c’entra niente - dura due anni e mezzo. I fatti risalgono al 2003. Sono passati cinque anni. Prima che il processo cominci, la storia è già finita. Più o meno lo stesso destino toccherà all’inchiesta sugli appalti comunali prorogati per non bandire nuove gare. Tra una settimana arriveranno le rinchieste di rinvio a giudizio. Ma i fatti risalgono al 2004. Sono passati quattro anni. Ne restano altri tre anni e mezzo per udienza preliminare, primo, secondo e terzo grado. Il finale è scontato. Penalmente, il caso Taranto è chiuso. In sede civile, si vedrà. E si vedranno forse, un giorno, le decisioni della Corte dei conti. Oggi intanto l’erede del disastro, il rifondazionista Ippazio Stèfano, sindaco alla guida di un Comune indigente e con le toppe, cerca di rianimare la città incoraggiandola con l’ottimismo e i manifesti per le strade: «Taranto rinasce».
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