Un mafioso trapanese intercettato decenni addietro spiegava la strategia della "famiglia" in un modo semplice, "un fare e un fare fari" (non fare e non lasciar fare), che era comunque un modo comunque per imporre il potere dei «mammasantissima». Oggi la mafia trapanese invece ha scoperto la possibilità di potere fare tanto, accedendo alla contribuzione pubblica, gestendo i progetti finanziati con le 488, controllando le imprese, diventando essa stessa impresa, anche di natura commerciale se si pensa al maxi sequestro dei Despar in mano a Pino Grigoli «socio» del latitante Matteo Messina Denaro.
Cosa Nostra nel trapanese è viva e vive di rendita per avere controllato più di tre quarti del mercato del cemento, buona parte di quello delle forniture, sabbia e ferro, non ha avuto bisogno di minacciare imprenditori e danneggiare imprese e cantieri per chiedere il racket, gli estorsori, raccontano gli atti giudiziari e quei pochi imprenditori che hanno collaborato, si sono presentati come rappresentanti di quelle aziende controllate dalla mafia, proponendo servizi e forniture, e anche fatture giusto quelle per scaricarsi le spese per la tassa ai boss. Senza che nessuno sapesse nulla in provincia di Trapani ci sono stati imprenditori sequestrati, finiti davanti ai capi mafia, per essere convinti a non dire di «no». Imprenditori che dal silenzio non sono mai usciti.
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