In Svizzera è previsto il suicidio assistito. Il malato deve fare da solo, affiancato da un sanitario che non è perseguibile per legge. Anche 15 italiani sono venuti a morire a Zurigo. Ecco i macabri segreti dei viaggi senza ritorno
ZURIGO — IL NIGHT si chiama «The Globe». È venerdì sera e si appresta ad accogliere i sussulti goderecci del fine settimana degli svizzeri. «Dignitas? Was is das?», Dignitas cos’è?, chiede un corpulento pronipote di Guglielmo Tell alla guida di una Mercedes altrettanto attempata. «Was is das», echeggiano gli scarsi e stupiti residenti. Nessuno sa che a poco più di cento metri da quel modesto tempietto del peccato elvetico qualcuno si prepara a morire. La casa della «dolce morte» si perde nell’anonimato di un quartiere impiegatizio-industriale a Schwerzenbach, a una quindicina di chilometri da Zurigo. Numero 12 di Ifangstrasse. Uffici, uffici, uffici. Garage, garage, garage. Lo studio di un ingegnere. Una roggia. La ferrovia.
UN BILOCALE al quarto e ultimo piano di una palazzina marrone e bianca accoglie l'ultima, provvisoria e traballante sede di Dignitas, associazione per l’assistenza al suicidio fondata nel 1998 dall’avvocato zurighese Ludwig Minelli. Si muore con più difficoltà nella libera Svizzera che mette al bando l’eutanasia ma dal 1942 ammette nel suo codice il suicidio assistito. Dopo gli anni di tolleranza di Christoph Blocher, sordo alle richieste di una legge federale che regolamentasse il «turismo della morte», il ministro della Giustizia Eveline Widmer-Schlumpf pare decisa a mettere un freno.
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