mercoledì 1 aprile 2009

Gli arrabbiati del G20, Obama e una crisi che ha bisogno di fatti

Gli Arrabbiati di Londra, quel diabolico mix di anarchici, ambientalisti e anticapitalisti che hanno dato l'assalto alla Bank of Scotland prima del G20, non vanno sottovalutati. Inutile parlare della ''solita marmaglia'', di ''agitatori sociali'' pronti a cogliere la prima occasione per scatenare la violenza. Qui come in Francia, con il sequestro di importanti dirigenti d'azienda, siamo di fronte a una protesta popolare che valica i confini della convivenza pacifica per esplodere in atti delittuosi. Questi sistemi di pressione non meritano nessun tipo di indulgenza, vanno scoraggiati nel modo più risoluto con l'impego della polizia quando serve e con sentenze dure dei tribunali, perché nessuna crisi economica deve offrire il pretesto per sconvolgere il vivere civile. Ma il peso e la valenza della protesta rimangono. I quattromila di Londra (tra cui tanti convinti pacifisti) volevano gridare al mondo che le conseguenze della recessione stanno scavando la società, svuotando le tasche, cancellando migliaia di posti di lavoro, riportando indietro l'orologio del tempo per tante famiglie che avevano conquistato con lavoro e sacrifici il diritto a una vita serena. E' un appello ai grandi del mondo riuniti nel G20 perché passino dalla parole ai fatti, perché trovino una strategia comune per combattere la crisi, perché cancellino le storture evidenti in alcuni sistemi bancari e rimettano il semplice cittadino al centro della loro azione politica. In questo senso la risposta di Obama è arrivata subito con l'invito, condiviso da Gordon Brown, a respingere le tentazioni protezionistiche a sostenere i mercati emergenti: un modo sicuro per rimettere in moto il volano dell'economia. ''Misure urgenti e condivise'' hanno promesso i due leader.
Ma alle parole, mai come ora, devono seguire i fatti.
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