Domenica scorsa, cogliendo l'occasione offerta dalla celebrazione della caduta del Muro di Berlino, mi sono chiesto se nei vent'anni successivi fosse cambiata la percezione della felicità, individuale e collettiva. Ed ho risposto che sì, la percezione della felicità è da allora molto cambiata. Non abbraccia più il futuro; si è ristretta al presente e dunque è molto più effimera di prima perché il presente è un punto estremamente fuggitivo, non è una linea che si proietti in avanti verso le generazioni successive alla nostra. Il concetto di felicità ha perso la sua dinamica. Questo mutamento ha prodotto effetti rilevanti nella politica e nell'economia. Gran parte della crisi mondiale si deve a questi effetti. In Italia è stato avvertito con maggiore intensità che altrove. Il fenomeno Berlusconi si spiega anche come conseguenza del nuovo modo di concepire la felicità. Nello stesso senso si spiegano le difficoltà del presidente Obama sul tema della sanità: gran parte degli americani teme che quella riforma comporti pesanti gravami fiscali e si rifiuta di sopportarli; non vuole pagare oggi il costo d'una riforma che darà maggiore assistenza in futuro. Esiste un nesso molto stretto tra la nuova legge "ad personam" che salverà il nostro presidente del Consiglio dai processi pendenti nei suoi confronti e la sua popolarità. Quella legge è percepita da una parte rilevante dell'opinione pubblica come un'evidente violazione del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La prova di quanto sia diffusa questa percezione sta nella immediata, straordinaria adesione popolare all'appello lanciato ieri su Repubblica da Roberto Saviano, che chiede al presidente del Consiglio di ritirare quella "norma del privilegio". E che sia tale, del resto, i sostenitori di quel provvedimento non ne fanno mistero. Lo stesso Berlusconi lo riconosce ed infatti esso è approdato in Parlamento come sostitutivo della legge Alfano che stabiliva la non processabilità del presidente del Consiglio.
Gli italiani sono dunque consapevoli del privilegio - ingiusto come tutti i privilegi - che il premier otterrà dalla sua docile maggioranza parlamentare, ma gran parte di essi sembra comunque disposta a tollerare che quel salvacondotto divenga legge dello Stato. Si attende però una contropartita, si attende cioè di poter beneficiare del clima di lassismo morale che quel privilegio e la legge che lo sancisce estenderà a tutte le furberie, le elusioni, l'indebolimento delle regole o addirittura la loro eliminazione che contrassegnano il carattere nazionale. I condoni scaricano il peso sulle future generazioni ma alleviano chi vive nel presente. La legge che estingue i processi del premier e quelli similari al suo è una sorta di condono, una parziale amnistia e come tale è gradita. Gli effetti moralmente perversi e le deformazioni che ne derivano riguardano il futuro, ma il futuro ha perso interesse di fronte ad un presente più facile, a regole sempre più esangui, a reati sordidi degradati al rango di peccati veniali.
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