|
|
Prima di partire per gli Stati Uniti, Tremonti ha tolto tutte le carte dalla scrivania del ministero. Berlusconi vorrebbe che svuotasse anche i cassetti e togliesse il disturbo dal governo. Il titolare dell'Economia è però convinto di restare, non solo perché non si dimetterà ma anche perché «non hanno strumenti per cacciarmi». In realtà, il Cavaliere aveva pensato addirittura a una mozione di sfiducia individuale pur di chiudere il rapporto, e c'è voluto del tempo prima che Gianni Letta lo riportasse alla ragione.
«Silvio, non hai capito che se cade Giulio, cade anche il governo?». «Gianni, non hai capito che quello vuol far precipitare tutto». «Ho capito, ma un conto è se fossi tu a provocare lo scontro, altra cosa è se lui si dimettesse». Così è nata l'idea del direttorio a Palazzo Chigi, una task force economica sotto l'egida di Letta da contrapporre al titolare di via XX settembre. Più che spacchettarlo - come voleva Maroni - si pensa almeno a impacchettare Tremonti, a svuotarne i poteri, costringendolo alla collegialità, alla mediazione su ogni provvedimento, fino a metterlo in minoranza nelle riunioni del Consiglio dei ministri. «E vedremo quanto a lungo resisterà».
L'operazione tuttavia non è facile, e in più è Berlusconi ad avere fretta, perché deve dare un segnale al Paese sul versante economico prima di muovere guerra alla magistratura sul fronte giudiziario. Perciò il premier era deciso a sostituire subito Tremonti con Grilli, riproponendo il copione di sei anni fa: anche allora infatti era stato un direttore generale del Tesoro (Siniscalco) a subentrare al «genio». L'idea del cambio in corsa resta, ma per il momento il Cavaliere ha dovuto ripiegare su una struttura, il direttorio, tutta da costruire e che evoca la famosa «cabina di regia» chiesta nel 2002 da Fini proprio per contenere lo strapotere del superministro: fu quello il primo passo verso il «dimissionamento» di Tremonti.Continua ...
Nessun commento:
Posta un commento