lunedì 9 gennaio 2012

Don Ciotti contro il gioco "Un danno sociale"


Il fondatore di Libera denuncia con un dossier i danni causati da scommesse e slot machine: "Circa ottocento mila giocatori sono dipendenti e due milioni  sono a rischio: una vera malattia. E la malavita fa affari d'oro".

di CLAUDIO ZECCHIN
Don Ciotti contro il gioco "Un danno sociale"
ROMA - Non è solo il biglietto da 5 milioni di euro, staccato a Napoli, a far parlare di giochi. Lotto, scommesse, poker, videolotteries e l'intero mercato sono stati analizzati nel dossier presentato dall'Associazione Libera, "Azzardopoli, il Paese del gioco d'azzardo". "Un danno sociale, ma anche umano", ha detto il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti: 800 mila persone sono dipendenti dal gioco e altri 2 milioni di giocatori sono a rischio. "Bisognerebbe applicare - ha aggiunto - le direttive dell'Oms che dicono che la dipendenza da gioco è una malattia sociale e va fatta prevenzione".
Il mercato del gioco legale è diventata in Italia una delle industrie più importanti che muove il Pil in un periodo di crisi, che porta lavoro, ma che essendo fonte di guadagno ha catturato anche l'attenzione della criminalità organizzata. Gli aspetti positivi e negativi di questo settore sono stati resi più chiari con i dati pubblicati in collaborazione con l'agenzia di stampa Agicos.
Gli italiani hanno giocato nell'ultimo anno ben 76,1 miliardi di euro se si considera solo il fatturato legale e l'Italia con questa cifra occupa il primo posto in Europa e il terzo nel mondo. E ancora. Il settore offre lavoro a 120.000 addetti e muove gli affari di 5.000 aziende, grandi e piccole, mobilitando il 4% del Pil nazionale.
"Per rendere l'idea  -  mette in luce Libera - 76,1 miliardi sono la portata di quattro Finanziarie normali, una cifra due volte superiore a quanto le famiglie 
spendono per la salute e, addirittura, otto volte di più di quanto viene riversato sull'istruzione. Se analizziamo gli ultimi dati riferiti ai mesi di ottobre e novembre 2011, il primato per il fatturato legale del gioco spetta alla Lombardia con  circa 2 miliardi euro, seguita dalla Campania con oltre un miliardo di euro. All'ultimo gradino del podio il Lazio con più di un miliardo di euro. Soldi che girano soprattutto grazie alle 400mila slot presenti in Italia", spiega l'Associazione.

Sono tante però le inquadrature per fotografare lo stesso settore. E nella parte più buia c'è "un terreno borderline" in cui le mafie hanno la possibilità di infiltrarsi per fare affari. Quanto? Ben 10 miliardi di euro l'anno, secondo le stime. "Nella gestione delle slot, di fatto - sottolinea lo studio curato da Daniele Poto -, le cosche sono "l'undicesimo concessionario occulto del Monopolio". Infatti, ha spiegato in una conferenza stampa la consigliera Diana De Martino, della direzione nazionale antimafia, "a partire dal 2003, quando il gioco si è evoluto, anche le infiltrazioni si sono mosse di parallelamente concentrandosi sulle macchinette, che sono il comparto dei giochi con la maggiore redditività".

Al momento ci sono 10 concessionarie ognuna delle quali ha un collegamento telematico che comunica i dati sulle giocate al Fisco, per poi applicare le tasse al 12%. L'attività delle mafie consiste nell'alterare le macchinette in modo da annullare o abbattere i dati comunicati al Fisco. Un problema per i Monopoli di Stato che hanno di fronte la malavita organizzata. Sono 41, dai Casalesi di Bidognetti ai Mallardo, dai Santapaola agli Schiavone, i clan che gestiscono i "giochi delle mafie". Il terreno fertile sono i punti scommesse, le sale gioco che fanno da "lavanderie" per i soldi sporchi, l'usura nelle bische clandestine, oltre al mercato del calcioscommesse che da solo vale 2,5 miliardi. Acquistano i biglietti vincenti dai giocatori, poi, pagando un sovrapprezzo che va dal 5 al 10%, per riciclare il denaro sporco: esibendo tagliandi vincenti di Superenalotto e lotterie, i clan possono giustificare l'acquisto di beni e attività commerciali.

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