I soldi ai partiti? Arrivano sempre, anche con la crisi
I rimborsi elettorali sono un business che non conosce crisi. Anzi. I partiti, tutti senza eccezione alcuna, hanno difeso la legge 157 del 1999, pietra miliare dei loro tesoretti ben custoditi, persino quest’estate. Una tassa di dieci euro a cittadino, come raccontano Elio Veltri e Francesco Paola nel libro “I soldi ai partiti”, e riprende Fabrizio D’Esposito sul Riformista:
Al Senato, infatti, a metà luglio c’era la possibilità di eliminare una delle norme assurde, aggiunta nel 2006, che impone di pagare per intero i fondi elettorali anche per le legislature interrotte. Ultimo esempio, quella dal 2006 al 2008. I partiti (compresi quelli che non hanno rappresentanza parlamentare: l’importante è superare l’un per cento, altra norma folle) riceveranno i rimborsi calcolati per cinque anni e non per gli effettivi due. Non solo. Il rimborso è doppio perché poi c’è la legislatura successiva, che va dal 2008 in poi. Una cuccagna. Bene. Quest’estate, a Palazzo Madama, l’abolizione della norma era nel pacchetto anti-crisi per la stabilizzazione finanziaria ma è stata rinviata. Ovviamente. I RIMBORSI elettorali costituiscono almeno l’80 per cento dei bilanci dei partiti, ma possono arrivare anche al 99 per cento come nel caso dell’Italia dei Valori. I controlli in questi casi possono poco. Sia dei revisori dei conti nominati dal Parlamento, sia della Corte dei conti. Con la garanzia dell’anonimato, ecco cosa dice uno dei cinque revisori di Camera e Senato a Paolo Bracalini, per un altro libro Partiti spa: “Molto spesso noi riceviamo dei bilanci sui quali è apposta una firma, quella dell’amministratore del partito, ma non possiamo verificare che ci sia stata effettivamente un’assemblea di approvazione, chi vi ha partecipato, se il bilancio è stato esaminato o meno. Chi redige il bilancio se la canta e se la suona”.
Alla luce di questo regime di allegra finanza per la casta, i partiti hanno ricevuto dal 1974 a oggi soldi per quasi sei miliardi di euro:
Continua ...
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