Il latitante, ultimo padrino di Cosa nostra, scrive lunghe lettere all'ex sindaco di Castelvetrano, Antonino Vaccarino, ritenuto dal capomafia un amico che "si metteva a disposizione". Il boss: "Non c'è più il politico di razza, l'ultimo fu Craxi". La rabbia contro Provenzano, colpevole di aver tenuto con sè i pizzini: "Tutto potevo immaginare, ma non questo menefreghismo da parte di una persona esperta"
PALERMO - Matteo Messina Denaro, il boss mafioso latitante da 15 anni, scrive lunghe lettere a un politico di Castelvetrano (Trapani), già indagato per mafia (accusa archiviata), condannato per traffico di stupefacenti. Di questo politico il boss si fidava: lo riteneva un amico che "si metteva a disposizione". Si chiama Antonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, arruolato dal servizio segreto civile per fare da esca al latitante e farlo arrestare.Nelle lettere che Messina Denaro scrive a Vaccarino, che chiama con lo pseudonimo di "Svetonio", il boss non crede più in niente. Non crede neppure che il "progetto politico" prospettato da Vaccarino, possa avere un futuro, anche se "so che lei farà sempre tutto il possibile affinchè la nostra causa possa avere una svolta... per ristabilire la verità delle cose"."Jorge Amado - cita il capomafia - diceva che non c'è cosa più infima della giustizia quando va a braccetto con la politica e io sono d'accordo con lui. Da circa 15 anni c'è stato un golpe bianco tinto di rosso attuato da alcuni magistrati con pezzi della politica..". "Oramai non c'è più il politico di razza, l'unico a mia memoria fu Craxi ed abbiamo visto la fine che gli hanno fatto fare. ..
Oggi per essere un buon politico basta che si faccia antimafia...".
Continua ...
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