di CARLO CLERICETTI
PRIVATIZZARE subito, privatizzare tutto. E’ la nuova – si fa per dire – parola d’ordine di un nutrito gruppo di economisti, fa parte delle richieste (perentorie) dell’Unione europea, le prevederà anche la manovra italiana.
Può sembrare singolare definire “nuova” l’istanza alle privatizzazioni, visto che da trent’anni se ne parla a profusione. E in effetti la sola novità sta nel fatto che sta riemergendo con prepotenza: l’occasione è l’acutizzarsi della crisi che ci ha colpito. La tesi è che vendere tutte le proprietà pubbliche, Eni, Enel, Poste, Ferrovie, Finmeccanica, Fintecna, Cassa depositi e prestiti, Rai, aziende municipalizzate, farebbe risparmiare sugli interessi (il ricavato va ad abbattere il debito, non il deficit), produrrebbe una drastica cura dimagrante per un settore pubblico inquinato dal clientelismo, soprattutto darebbe un segnale forte ai mercati, i famosi mercati che oggi vendono a piene mani i nostri titoli pubblici e che sono come una belva che va sfamata.
Sul Sole24Ore Roberto Perotti e Luigi Zingales 1 stimano in 170 miliardi (30 dei quali per le municipalizzate) il possibile ricavato, con un conseguente risparmio di 6 miliardi nella spesa per interessi su debito pubblico. Certo, farebbero comodo. Ma, a parte il fatto che in questa fase non si capisce bene da dove potrebbero arrivare tutti questi soldi, siamo sicuri che sia una buona idea?
Quando si parla di assetti proprietari, purtroppo, ci si avvicina all’atteggiamento psicologico del tifoso: al cuore non si comanda. Così, il partito dei “liberisti” vede nello Stato la fonte di tutti i mali, riecheggiando il famoso aforisma di Ronald Reagan: “Lo Stato non ha dei problemi, lo Stato è il problema”. E dunque la proprietà e la gestione pubblica sono per definizione inefficienti, clientelari, corrotte, costose. Il loro profeta è James M. Buchanan, premio nobel per l’economia nel 1986 (occhio a quella data: l’era Thatcher-Reagan è in pieno corso), che parte dall’assunto che i politici, come riassume Wikipedia, “non aspirino a promuovere il bene comune, ma siano guidati dall'obiettivo della massimizzazione dell'utilità, ossia da quella stessa “mano invisibile” che li guida nell'operare in mercati privati, ritenendo più importanti interessi personali (come prestigio, ricchezza, potere, vantaggi fiscali)”. Dunque, meno i politici maneggiano e meglio è, e il solo sentir parlare di politica economica a questi economisti fa venire l’orticaria.
Continua ...
http://www.repubblica.it/economia/2011/07/14/news/privatizzazioni_elogio_del_clientelismo-19121215/
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