Tra bravate, pizzo e affaricarriera di un aspirante boss" src="http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/mafia-2/riina-jr-ritratto/ansa_12376099_56340.jpg" width=230> Duro, sprezzante, conscio di portare un cognome che gli avrebbe spianato la strada, Giuseppe Salvatore Riina, lascia il carcere di Sulmona a due mesi dal suo trentunesimo compleanno. Il fratello Giovanni resta dentro con un ergastolo. A lui è andata meglio. Una condanna per mafia ed estorsione, l'annullamento senza rinvio per il secondo reato contestatogli, una pena a 8 anni e 10 mesi e tre anni trascorsi tra il primo grado e l'appello gli restituiscono anzitempo la libertà. In carcere c'era finito nel giugno del 2002. Due anni dopo gli avevano contestato la partecipazione allo sterminio di una famiglia di Corleone insieme con il fratello. L'accusa che lo vedeva assassino a 17 anni era poi caduta. Scalpitava e tanto per tornare libero già da mesi, Giuseppe Salvatore Riina, per tutti Salvuccio. Lo avevano intercettato mentre pronunciava frasi ingiuriose nei confronti di Falcone e Borsellino e al processo, giocando il ruolo del figlio oppresso da un cognome ingombrante, aveva anche fatto pubblica ammenda per quelle offese. Non gli era bastato a evitare una condanna pari quasi al doppio di quella definitiva. Altre e decisive prove della smania di seguire le orme del padre aveva rassegnato alle microspie. Era caduta così anche la patina di rispettabilità che aveva provato a darsi commerciando in macchine agricole con la Agrimar, la società che aveva aperto insieme con il cognato piazzandosi in un capannone industriale con la facciata a vetri proprio all'ingresso di Corleone. Gli investigatori lo avevano ascoltato raccontare di affari, di soldi facili fatti con il pizzo e le forniture sugli appalti, di gare d'appalto combinate e del destino amministrativo della sua città.
Continua ...
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