Più dei rinforzi in Afghanistan e dell’agenda del G8 contano i detenuti di Guantanamo: Barack Obama vede nell’Italia l’alleato che può rompere il ghiaccio fra Usa e Europa sull’evacuazione del carcere costruito da George W. Bush. Le ore della vigilia dell’incontro, al Dipartimento di Stato come alla Casa Bianca, sono state segnate dall’attesa per l’annuncio con il quale Silvio Berlusconi ha poi fatto sapere che Roma accetta di ospitare 3 detenuti in uscita dal carcere militare nella base sull’isola di Cuba. Sebbene il numero sia ridotto rispetto alle attese americane - il ministro degli Esteri Franco Frattini in primavera aveva parlato di almeno 12 - la formula del gesto unilaterale al quale potrebbe seguirne un altro nella cornice dell’accordo Usa-Ue siglato proprio ieri va incontro alle attese americane perché apre la strada al viaggio che Dan Fried, titolare del portafoglio-Guantanamo al Dipartimento di Stato, farà in Spagna, Portogallo e Ungheria sperando di raccogliere ulteriori assensi.Obama ha voluto il «sì» del premier su Guantanamo, come prova iniziale di un’alleanza politica capace di esorcizzare il fantasma dell’amicizia Berlusconi-Bush, per tre differenti motivi. Il primo riguarda i valori: per Barack la chiusura di Guantanamo significa «restaurare i veri principi dell’America» dimenticati dal predecessore Bush e dunque aiutare tale processo implica da parte di un premier straniero dimostrare di aderire ad un’idea comune di stato di Diritto che rigetta l’uso della tortura.
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