Nel «processo nascosto» che vede indagato il generale Mori, una traccia porta ai rapporti tra Provenzano e i vertici dell’Arma. Il boss Ilardo parlò dei politici: fu ammazzato poco dopo.L’Unità nel gennaio scorso lo ha definito il processo nascosto. Oggi potrebbe chiarire gli aspetti del patto tra Stato e mafia e raccontare la mutazione avvenuta dentro Cosa nostra dopo le stragi.Il processo che si svolge a Palermo vede come imputati il generale Mori, già capo del Ros, e il suo fidato braccio destro il colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato per aver omesso di arrestare il 31 ottobre 1995 Bernardo Provenzano. A portarli a poche centinaia di metri dal boss è Luigi Ilardo, un mafioso di Catania che dal 1994 aveva saltato il fosso, diventando un infiltrato del colonnello Michele Riccio in forza al Ros.Ilardo quel giorno rimane per otto ore a colloquio con il boss imprimendosi bene negli occhi i tratti del fantasma di Corleone: «Altezza 1,69-1,71 mt. circa; magro, il volto scarnato come se avesse due fosse, capelli corti brizzolati di colore castano tendente al rossiccio ed al bianco, fortemente stempiato». Le linee programmatiche esposte dal padrino vengono riportate da Riccio: «Non ricorrere al momento a scontri armati…Provenzano riteneva che fra 5-7 anni avrebbero recuperato una sufficiente tranquillità per condurre i propri affari e migliorare la situazione economica dell’organizzazione ora precaria». È l’inizio della mafia invisibile dello ‘zu Bino, la mutazione.
Continua ...
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