Nuove verità sulla gestione della prigione militare e sull'aiuto offerto da Roma per accoglierne i carcerati. L'America temeva che Maroni potesse far deragliare l'intesa raggiunta con Palazzo Chigi e Frattini beffò la Legadi CARLO BONINI e STEFANIA MAURIZI
ROMA - "Assolutamente favorevoli, profondamente convinti, perché sulla stessa linea d'onda di Washington", ma preoccupati dalla "reazione all'interno del Governo del potente e loquace ministro dell'Interno Maroni e della sua Lega Nord, sostenitrice con successo di una linea anti-immigrazione". Al punto che "se l'Italia potesse accogliere detenuti non pericolosi, questo sarebbe di aiuto". A Roma, anche una questione internazionale cruciale come lo "svuotamento" della prigione di Guantanamo e la redistribuzione dei suoi prigionieri tra gli Alleati, venne declinata in affare domestico. Con una diplomazia impegnata a compiacere e sostenere l'interlocutore americano, ma prigioniera del ricatto della propaganda leghista e dunque impegnata a non urtarne la "sensibilità politica". A prendersi insomma la sua parte di responsabilità (sia pure con detenuti "a basso rischio"), ma riducendo ogni possibile turbolenza nella maggioranza.
È quanto raccontano tre cablo dell'ambasciata Usa a Roma, inviati al Dipartimento di Stato il 26 marzo, l'8 luglio e il 4 giugno 2009, nel documentare la trattativa diplomatica che, nel novembre di quell'anno, avrebbe dato semaforo verde alla consegna al nostro Paese di Adel Ben Mabrouk (rimpatriato in Tunisia il 20 aprile scorso dal Ministero dell'Interno con un ordine di espulsione "per ragioni di ordine pubblico e sicurezza") e Ben Mohamed Riadh Nasri, entrambi cittadini tunisini fino a quel momento detenuti a Guantanamo.
Continua ...
Nessun commento:
Posta un commento