martedì 3 maggio 2011

Trattativa Stato-mafia, Brusca: referente era Mancino. In 94 contatti con Berlusconi

La strage di via D'Amelio
Firenze, 3 mag. - (Adnkronos/Ign) - Giovanni Brusca, chiamato a testimoniare oggi nell'aula bunker di Firenze dove è in corso il processo a Francesco Tagliavia per le stragi mafiode del '93, conferma l’esistenza di una trattativa tra lo Stato e la mafia e del 'papello' inviato a referenti delle istituzioni nel luglio del ‘92 da Totò Riina.

''Finalmente si sono fatti sotto – gli avrebbe detto all’epoca il capo dei capi -, gli ho consegnato un 'papello' con tutta una serie di richieste, come ad esempio i benefici per i carcerati''. Brusca non sa dire chi fosse stato incaricato della consegna: ''Riina non mi disse il nome del tramite. Mi fece però il nome del committente finale, quello dell'allora ministro dell'Interno onorevole Nicola Mancino''. Secondo il pentito anche ''la sinistra'' sapeva della trattativa con Cosa Nostra, ''non il Pci'' ma la sinistra ''che governava nel 1992-93''.

Obiettivo del 'papello' era principalmente ''ricattatorio'' e faceva seguito a un cambio di strategia di Cosa Nostra decisa dalla cupola guidata da Riina dopo il maxi processo istruito da Giovanni Falcone, non all’istituzione del carcere duro. ''Quello era un fatto momentaneo, entrato in corso d'opera – ha chiarito Brusca - . Ma la causa di tutto, ripeto, era il maxi processo. Del resto – ha ricordato - l'attacco cominciò con l'uccisione di Falcone e poi di Borsellino. E se non ricordo male il regime del 41 bis cominciò dopo Borsellino''. Tra i motivi che sarebbero stati all'origine dell'aggressione ''al cuore dello Stato'' ci sarebbero stati anche ''i maltrattamenti nelle carceri, le cosiddette violenze generalizzate contro i detenuti mafiosi, in particolare quelli che avvenivano nelle carceri di Pianosa e dell'Asinara''.

Brusca ha anche raccontato di un successivo incontro con Riina nel quale il capo dei capi gli disse che gli esponenti politici a cui si era rivolto presentando il 'papello' avevano definito ''esose, perché erano tante'' le richieste per addivenire a un accordo che avrebbe fermato gli attentati. In ogni caso dopo la strage in cui morì Borsellino si interruppe ''ogni contatto'' con personaggi dello Stato. ''Il primo a dirlo fu Salvatore Riina, che mi diceva: non c'è più nessuno''. La cupola “fino al capodanno del 1993 guidata da Riina'' cercò quindi ''nuovi canali'' per entrare in contatto con ''politici locali con riferimenti nazionali a Roma. La speranza – ha spiegato l’ex capo mandamento di San Giovanni Jato - era di far tornare lo Stato a trattare con noi, come aveva fatto fino al 1992 grazie all'aiuto dell'onorevole Salvo Lima'', ucciso secondo Brusca perché ''non si era messo a disposizione per il maxi processo''.
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