Oggi è finalmente possibile avere un quadro chiaro della vicenda che ha visto coinvolti il soldato americano Bradley Manning e Wikileaks nella divulgazione di un filmato che prova un massacro americano in Iraq, spacciato invece per uno scontro tra bande locali, e soprattutto degli ormai famosicable, le centinaia di migliaia di messaggi che le sedi diplomatiche americane hanno diramato nel corso di diversi anni. Il documento principale sul quale ci si può fare un'idea della vicenda e dei suoi protagonisti è rappresentato dalla copia di colloqui su una chat IRC tra Manning e Adrian Lamo, incautamente scelto da Manning come confidente in momenti di grande difficoltà emotiva. Il documento costituisce la principale prova a carico di Manning, ormai noto da tempo in alcune sue parti e ora pubblicato integralmente. Non è dato sapere se i suoi accusatori abbiano qualcosa di più, anche se un documento del genere, qualora ne sia accertata la genuinità è sicuramente già molto compromettente, quello che sappiamo è che Bradley Manning è da mesi sottoposto a un regime carcerario durissimo senza che ancora siano state formalizzate imputazioni e senza che i suoi avvocati abbiano potuto far nulla, nemmeno per alleviare le condizioni di detenzione di una persona che appare ormai del tutto innocua e schiacciata da grossi problemi psicologici, che è trattata come il più feroce degli ospiti di Guantanamo pur essendo cittadino statunitense.
Per gli Stati Uniti Manning è un traditore e su questo molti non vogliono nemmeno discutere, ma la violenza con la quale il governo l'ha investito ha più il sapore della vendetta e della punizione esemplare che della giustizia. Identica conclusione si può trarre sull'accanimento ai danni di Julian Assange, che proprio dalle parti fino ad ora sconosciute di questo dialogo emerge invece come non imputabile dalla giustizia americana e innocente anche per l'accusa di essere il responsabile della cattura di Manning. Una calunnia smentita esplicitamente da quanto scritto nelle sue confidenze dallo stesso Manning, che però ha potuto circolare e diffondersi incontrastata proprio grazie alla pubblicazione a puntate di queste sessioni di chat.
Di questo si può agevolmente individuare una bella responsabilità in capo alla rivista Wired, che non solo ha pubblicato le confidenze di Manning, ottenute da Lamo sotto il vincolo del segreto come quello “di un giornalista o di un prete” e che lo stesso Lamo ha promesso che non avrebbe mai pubblicato, ma ha anche seguito un timing per la pubblicazione evidentemente gradito alle autorità americane. Lo dimostra il fatto che quando Assange è stato oggetto di accuse che a Wired sapevano essere infondate, nessuno si è scomodato a smentirle.
Continua ...
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