Chiunque può fare default, cioè fallire. Può essere insolvente un individuo, ma anche una famiglia, oppure un'azienda, un ospedale, una banca, un Comune e pure uno Stato. I conti sono in rosso (le spese superano le entrate) e non si riesce più a pagare i creditori. Ovviamente cambia la scala degli effetti. Se a essere sopraffatto dai debiti è un singolo cittadino, lascerà da saldare l'affitto, le rate dell'auto, il finanziamento della banca... Se fallisce un'azienda, il peso ricadrà su dipendenti e fornitori. Se un Comune, interviene lo Stato centrale e i servizi ai cittadini proseguono (magari ridimensionati). Ma se è uno Stato a fare default, significa che non è più in grado di fronteggiare gli impegni economici assunti: dal rimborso alla scadenza prevista del denaro preso in prestito per finanziarsi attraverso l'emissione di titoli di Stato, agli stipendi da pagare ai dipendenti pubblici.
Il fallimento dell'Argentina nel 2001 è un ricordo ancora vivo nei risparmiatori italiani che avevano nel proprio portafoglio i tango bond: divennero carta straccia. Ma è vivo soprattutto nella classe media argentina che si trovò sul lastrico. Certo, Buenos Aires è ancora lì, però popolazione e risparmiatori hanno pagato a caro prezzo le scelte economiche e politiche - sbagliate - della Casa Rosada. Ma com'è possibile che uno Stato dell'Eurozona faccia default? In effetti nel 1992 il Trattato di Maastricht introdusse il tetto del 3% del Pil per il deficit e del 60% del Pil per il debito pubblico come condizioni da realizzare entro il 1997 per i Paesi che volessero entrare nell'euro. Poi venne anche il Patto di stabilità, ovvero l'accordo che imponeva il controllo delle proprie politiche di bilancio per mantenere fissi i parametri di Maastricht e che introduceva anche le sanzioni. Gli Stati, chi più chi meno, non hanno rispettato i parametri. La Grecia è arrivata a truccare i conti. L'Italia ha semplicemente un deficit pari al 3,9% del Pil e un debito del 120,6% sul Pil.
Continua ...
Nessun commento:
Posta un commento