Bologna, 19 febbraio 2008 - Allora sembra proprio che la Casta (o una parte di essa) non abbia capito ciò che vuole il povero elettorato, cioè noi, poveri votanti ai quali in questi giorni e fino al 13 aprile vengono promessi (da parte di tutti gli schieramenti) mari e monti. Al grido ”Meno tasse, stipendi più alti” i leader tutti hanno cominciato la loro campagna elettorale. Chi in autobus, chi in macchina superlusso. E chissà se davvero alla fine della messa cantata ci troveremo meno tasse e stipendi più alti. Staremo a vedere. Ma quello che una parte della Casta fa finta di non aver capito è che gli elettori, cioè noi piccoli, indifesi terminali di tante promesse, vogliono in via preliminare che in Parlamento ci arrivino delle persone per bene, ci arrivi gente dalla pedina penale pulita.
E’ da parecchio che ci battiamo per questo. Perché a rappresentarci non vadano in Parlamento personaggi che invece che alla Camera o al Senato starebbero benissimo a Rebibbia. Qualcuno sembra averlo capito. Qualcuno come i rappresentanti del Pd ad esempio. Cominciò qualche settimana fa Dario Franceschini ad annunciare che il Partito democratico non avrebbe presentato nelle proprie liste gente con condanne definitive e neppure con condanne in primo grado. E la cosa fu parecchio apprezzata. Lo ha ripetuto Veltroni, segretario del Pd, e i buoni propositi sono addirittura finiti nel programma stilato dal Sognatore. Un programma in dodici punti. All’undicesino si legge: “Giustizia. Trasparenza delle nomine di competenza della politica. Principio della non candidabilità in Parlamento dei cittadini condannati per reati gravissimi connessi alla mafia, camorra e criminalità organizzata o per corruzione o concussione”.
Un annuncio che in altri paesi, abituati ad altra classe politica, avrebbe forse sorpreso parecchio. Da noi invece è sembrato un primo passo (con la speranza che strada facendo nessuno si distragga e scivoli) verso una normale trasparenza. Un principio che pensavamo, ingenui, avrebbe trovato rispondenza (oltre allo slogan “Meno tasse, stipendi più alti”) in tutte le altre formazioni. E invece no. Perché sembra proprio almeno a leggere “La Stampa”, che nel Pdl, leader Berlusconi, e nell’Udc, leader il “ribelle” (almeno agli occhi del Cavaliere) Casini, abbiano qualche problemuccio con questa impostazione. Nei due partiti ci sarebbe insomma da candidare un po’ di gente con qualche condannuccia per corruzione, pagamento di tangenti varie, banda armata e associazione sovversiva, frode fiscale. E c’è, nell’Udc, il caso piuttosto scottante dell’ex governatore della Sicilia Cuffaro condannato pochi settimane fa in primo grado a cinque anni per favoreggiamento nei confronti di un personaggio risultato legato alla mafia. Lui, Cuffaro, festeggiò la sentenza a cannoli ma dopo pochi giorni fu costretto in seguito alle polemiche roventi a dimettersi. Ebbene il “ribelle” Casini (sempre agli occhi del Cavaliere) avrebbe intenzione di presentarlo alle prossime elezioni per un seggio da senatore. Non ci credete? Credeteci è proprio così. Una storia all’italiana. Uno viene condannato, seppure in primo grado, è costretto a dimettersi e pochi mesi dopo va a sedersi in Parlamento a decidere i destini dell’Italia, i destini suoi, ma soprattutto i nostri e i miei. Possibile? Possibile. Dice il “ribelle” Casini (ma anche qualcuno del Pdl): “Non deve essere la magistratura a decidere le candidature”. Giusti giustissimo.
A decidere le candidature (visto che oltretutto con questo sistema vengono imposte dall’alto) deve essere il senso morale, etico della politica. Prima di tutto la questione morale, poi si parlerà di meno tasse e stipendi più alti. Ma davvero Totò Cuffaro, se per un giro rimanesse in panchina in attesa di aver chiarito fino in fondo la propria posizione giudiziaria, potrebbe soffrire troppo? Noi, non soffriremmo, diciamo la verità. E forse non soffrirebbero neppure quelli che auspicano una politica italiana non solo dal volto umano, ma anche pulito. E allora diciamolo forte: non vogliamo condannati in Parlamento. Facciamolo capire alla Casta una volta per tutte. E’ chiedere troppo? E dopo, ben vengano, meno tasse e stipendi più alti.
di Sandro Bugia
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