Siamo il primo esportatore verso Tripoli e ricopriamo circa il 17,5 % delle importazioni libiche, con un interscambio che nel 2010 è stato quantificato in circa 12 miliardi di euro. Intanto sono stati congelati beni appartenenti al rais o a entità libiche per circa 7 miliardi di euro
ROMA - Non solo la finanza, con le quote libiche, e quindi i diritti di voto e i dividendi, che sono state già sterilizzate dall'Unione Europea. L'acuirsi della crisi, con l'escalation militare di queste ore, riporta in primo piano anche gli interessi delle imprese italiane in Libia. Si tratta di investimenti consistenti, grandi appalti, forniture di materie prime e maxi-commesse che rischiano di restare congelati a lungo. O anche di finire in altre mani. Con ripercussioni consistenti sui bilanci delle società e sull'economia italiana. Ecco perchè il governo italiano ritiene prioritario per il Paese partecipare a pieno titolo alla gestione del dopo-Gheddafi.
Fino a poche settimane fa, sull'asse Tripoli-Roma, in entrambi i sensi di marcia, hanno viaggiato infatti denaro e opportunità di sviluppo. E i legami economici sono andati bel oltre la vicinanza geografica. Oggi, l'Italia, in attuazione della risoluzione 1973 approvata il 17 marzo dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ha congelato beni di Gheddafi o di entità libiche per 6-7 miliardi di euro.
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