Vittoria dei ribelli nella città martire. Il raiss: tocca alle tribù - MIMMO CÀNDITO
Ieri notte, Misurata finalmente ha dormito. Erano 60 giorni che non chiudeva gli occhi del sonno, e solo chi ci è passato dentro può capire che cosa sia una notte che fila via muta, senza cannonate, lo squasso dei missili, i muri che tremano. Dormire non è ancora la pace né la vittoria, però dà respiro alle angosce; le macerie restano, e restano i 328 morti di questo assedio che pareva senza fine, ma ora diventano monumenti alla memoria d’una guerra che si va consumando, perché da ieri le truppe di Gheddafi si stanno ritirando dalla città e la speranza che la fine dell’assedio sia vicina sta nei segni che cambiano della quotidianità della guerra: non soltanto la prima notte di silenzio, ma anche alcune delle trincee scavate lungo Via Tripoli che cominciano a essere abbandonate, i checkpoint allentati di Via Bengasi, e qualcuno dei misurtini sopravvissuto dentro la catacomba della propria casa che ora comincia a tirar fuori la testa, e guarda la vita. Un annuncio di questa virata ancora inattesa l’altro ieri, quando missili e cannonate continuavano il loro sporco lavoro, è arrivato ieri attraverso le parole ufficiali del viceministro libico, a Tripoli: «Ci eravamo dati una scandenza, per liberare Misurata.
La Nato ci ha impedito di portare a conclusione il nostro intervento, ora la mano passa alle tribù locali: toccherà a loro trattare con i ribelli e convincerli - con la ragione o con la forza - ad allinearsi con le legittime posizioni del governo di Tripoli». Non è la dichiarazione d’una sconfitta, nella formulazione ci sono ambiguità e ipocrisie, ma resta il fatto che l’artiglieria e i tank del Colonnello tacciono ormai da un giorno, e la linea del fronte che seguiva il tracciato dello stradone che arriva fino al porto e taglia in due la città si sta ora spostando verso ovest, seguendo l’arretramento delle truppe. La fucileria è interrotta, la battaglia continua perché i «ribelli» seguono la ritirata dei soldati che li assediavano, gli stanno addosso, recuperano il possesso della città casa dopo casa, combattono da dietro i muri, snidano i cecchini, li accerchiano e li uccidono. Ora che è a terra, nei cunicoli delle strade strette, tra le macerie che diventano trappole e nascondigli letali, la guerra si fa davvero senza pietà: il piccolo ospedale che in questi due mesi era diventato il rifugio dei vinti, ieri ha dovuto accogliere un numero i altissimo di morti, 50, una vera strage, e ancor più feriti, almeno 100 alla fine. E tanti morti e tanti feriti significano solo che la guerra dell’assedio si è trasformata, che ora non sono più i missili e i cannoni a dettare i tempi dello scontro in uno stallo del fronte, ma ora si combatte strada per strada, palazzo per palazzo, con agguati, assalti, e scontri uomo contro uomo. Ed è una carneficina. Il viceministro dice che «ora ci penseranno le tribù locali».
Continua ...
Nessun commento:
Posta un commento