Roberto Lassini, colui che è stato indicato come l’autore dei manifesti “Via le Brigate Rosse dalle procure” a Milano dice candidamente, all’interno di molti ritorcimenti, almeno due cose interessanti. La prima è che lui ci ha messo solo la faccia, quindi sta coprendo altri e che di conseguenza, se [tali altri] lo obbligheranno a rinunciare allo strapuntino del posto di consigliere comunale di Milano per il PdL, si arrabbierà di brutto minacciando di fare nomi e cognomi di chi realmente ha voluto quei manifesti.
La seconda cosa che Lassini dice è che se pure ammette che quella frase sia “un po’ forte” e senza alcun senso non capisce quale sia il problema perché in Italia c’è la libertà d’espressione. Qui il prestanome tocca il punto nevralgico della nostra storia. Se la libertà d’espressione è un bene inestimabile questa non può comportare la perdita di un altro bene inestimabile quale poter discernere il vero dal falso.
Ci si sente un po’ vecchi tromboni a denunciare questa trasformazione della libertà d’espressione in diritto alla menzogna, questa equivalenza tra vero e falso nella quale le parole, le idee, la realtà stessa finiscono per perdere senso. Se la punta dell’iceberg è un parlamento che ha votato che Ruby è davvero la nipote di Mubarak e una tivù dove finte terremotate aquilane raccontano che tutto vada bene sono tutte le nostre relazioni sociali a decadere. Uno studente ignorante può accusare il professore di avergli perso una tesi mai scritta, un condomino moroso può insinuare che l’amministratore sia disonesto solo per non pagare quanto deve e mille altre esperienze che ognuno di noi ha fatto.
Continua ...
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