lunedì 23 marzo 2009

Uso personale e 'scorta'. Commento alla sentenza della Cassazione n. 379/2009 - Carlo Alberto Zaina

Cassazione: non è reato fare "scorta" di droga a patto che si sia costretti a restare per mesi lontani dalla "civiltà". Questa in sintesi la notizia riportata dai mezzi di informazione alcuni giorni fa. Proponiamo di seguito il commento alla sentenza dell'avv. Carlo Alberto Zaina.La attuale dizione dell’art. 73 co. 1 bis del dpr 309/90, che rende concreta e, dunque, recepisce <>.E’ questo il testuale passaggio decisivo della sentenza n. 379 del 12 Febbraio 2009, pronunziata dalla Sesta Sezione della Suprema Corte, in riferimento alla sempre più tribolata e tormentata vicenda concernente la annosa ricerca di un corretto inquadramento – nel contesto del sistema sanzionatorio del T.U.stup. – nonché di una coerente interpretazione giuridica della condotta di detenzione di sostanze stupefacenti.Non è il caso di ripercorrere il travaglio giurisprudenziale e dottrinale che affligge quello che, a parere di chi scrive è uno dei punti nodali (se non – addirittura - quello prodromico e pregiudiziale) del sistema normativo-repressivo, che dovrebbe governare la circolazione delle sostanze psicotrope nell’alveo sociale.Giovi, però, osservare, proprio per la assoluta decisività che la soluzione del tema, riguardante la punibilità o meno della detenzione, riveste (non tanto e non solo in senso stretto, ma soprattutto in relazione alla complessa e successiva struttura di interventi che la questione-droga impone) che appare necessario ed ineludibile operare con chiarezza ed al riparo da false ipocrisie.Il legislatore (e comunque chiunque si parroci al problema) deve, infatti, nella specifica ipotesi in esame, avere il coraggio di separare il giudizio etico, da quello giuridico.Va, quindi, riconosciuta, in modo netto ed onesto, l’esistenza ontologica di questa discrasia, di questo irrimediabile dualismo, che appare - sin dalla notte dei tempi - assolutamente irreversibile.La norma giuridica è, infatti, destinata – per definizione - ad operare, sovente, su di un piano del tutto distinto e per nulla necessariamente coincidente con quelle valutazioni culturali, morali o religiose, fatte proprie dalla società destinataria del precetto legislativo al momento della promulgazione di quest’ultimo.Aderire a questa posizione, riconoscendo, quindi una patente autonomia del “sentire giuridico” e della sua concreta attuazione, rispetto a valori educativi e di puro eticità non significa affatto – come taluno erroneamente afferma – propendere per una legalizzazione dell’uso delle droghe, o, tesi ancora più ignobile, mostrarsi sensibili propugnatori di una indiscriminata diffusione delle stesse.
Continua ...
http://droghe.aduc.it/php/articolo.php?id=19426

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