Per l’Elefantino l’inclusione di Massimo Ciancimino nei testi di Antonio Ingroia dimostra l’attentato agli Organi Costituzionali.
Che l’arresto di Massimo Ciancimino per truffa e calunnia sia un brutto colpo per il team della procura di Palermo che lo ha a più riprese proposto come testimone, spesso chiave, in vari processi di importanza delicatissima, non c’è dubbio. Giuliano Ferrara però ci mette il carico, ipotizzando, senza prove, una vera e propria cospirazione ai danni degli organi costituzionali. Anzi, per l’Elefantino, questa volta in veste di patinato editorialista del Giornale, le prove ci sono: è un vero e proprio complotto triangolare che ha per vertici Antonio Ingroia, la toga rossa; Massimo Ciancimino, il testimone fasullo e Michele Santoro, il giornalista della disinformazione.
Massimo Ciancimino non è un pentito, non rientra nella controversa categoria di coloro che pretendono di aver aiutato a fare giustizia con rivelazioni in qualche modo riscontrate e capaci di mettere in scacco la delinquenza organizzata di tipo mafioso. È invece un teste d’accusa sulla cui attendibilità, in modi azzardati e avventurosi, alcuni Pm diretti da Ingroia hanno fatto la scommessa della loro vita professionale, portandolo per mano nel circuito mediatico-giudiziario, con l’aiuto di Michele Santoro e altri professionisti dell’informazione obliqua, insinuante, della macchina del fango (come impudentemente dicono, per ritagliarla sugli altri), dentro una narrazione calunniosa che ha investito lo Stato, i governanti, la politica e infine il capo e coordinatore dei servizi di sicurezza e di informazione sui quali si fonda la credibilità degli apparati della forza e dell’ordine repubblicano. Sotto scorta e assistito dai suoi direttori spirituali e giudiziari, per mesi e mesi il figlio di don Vito ha infangato Berlusconi, presidente del Consiglio; il senatore Dell’Utri, uno che sta per pagare con molti anni di galera la trasformazione calunniosa delle sue amicizie controverse in un reato penale da Paese borbonico (concorso esterno in mafia); Nicola Mancino, già presidente del Senato e ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura; Giovanni Conso, giurista e già ministro di Grazia e Giustizia; il generale Mario Mori, l’eroe italiano che arrestò il capo della mafia; infine il prefetto De Gennaro, per anni capo della polizia, un uomo che ha lavorato contro la mafia con Falcone in modi controversi ma efficienti, e che ora fa parte, agli occhi dei suoi nemici, di un odiato apparato di governo della Repubblica. E molti altri, secondo le convenienze d’occasione.
Continua ...
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