La guerra in fase di stallo: ribelli e lealisti non riescono a dare il colpo decisivo. La coalizione non accelera: teme che la caduta della capitale porti a un bagno di sangue
di BERNARDO VALLIBENGASI - È una tragedia classica. Sembra ricalcata su un testo antico. Manca soltanto il finale. Nessuno sa ancora quale sarà la fine del tiranno. Né chi gli vibrerà l'ultimo colpo, quello decisivo. Politico o fisico. Forse un collaboratore tra i più vicini, giudicato tra i più fedeli. Oppure una tribù che l'abbandona. Il tradimento estremo potrebbe essere ordito anche da un familiare. Nulla è escluso. Soltanto i tempi sono incerti. Nella realtà il sipario non cala a un'ora fissa.
Certa è la scena. Tutto ruota attorno al rifugio di Tripoli da dove Muhammar Gheddafi conduce la sua ultima battaglia di raìs. Ieri, poco prima dell'alba, si sono udite sparatorie nelle vicinanze e due testimoni hanno poi giurato di avere visto pozze di sangue sul selciato, presto cancellate. E quando la città si è svegliata ha scoperto che gli uomini armati si erano moltiplicati per le strade. Le armi erano più numerose dei cellulari in una contrada pacifica. Ne erano state distribuite nelle ore precedenti, senz' altro a persone fidate, non ancora incorporate nelle milizie e mobilitate per affrontare un'emergenza ormai estrema. Di miliziani non se ne erano mai visti tanti in giro, sulla Piazza Verde, nel suk della medina, nelle vicinanze della moschea Gurgi o dell'Arco di Marcaurelio. Era il segno evidente che il livello della tensione, del sospetto, della paura si era bruscamente alzato.
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