ROBERTO GIOVANNINI
ROMA
Anche il 25 aprile, il primo maggio e il 2 giugno fanno la fine del 4 novembre. Fu nell’ormai lontano 1977 che la festa delle Forze Armate l’anniversario della vittoria nella Prima Guerra Mondiale - fu soppressa e spostata alla prima domenica di novembre.
E adesso succederà lo stesso alle festività laiche «costituzionali» rimaste, incidentalmente quelle che più o meno rappresentano l’eredità storico-culturale della «Repubblica nata dalla Resistenza»: la festa della Liberazione, la festa del Lavoro, la festa della Repubblica. Non è un segreto per nessuno che queste feste avevano «nemici» politici pesanti che in diverse occasioni in passato hanno cercato di farle fuori: nell’ordine, fascisti e postfascisti, Confindustria, la Lega Nord.
Solo che nel mirino del governo ci sono finiti anche i santi patroni delle città. Anche loro «spostati». Si sono salvate solo le feste «concordatarie», che sono definite in un trattato internazionale col Vaticano e quindi non si possono eliminare se non passando attraverso troppe complicazioni.
Vero è che ancora non è chiaro se le festività spariscono proprio completamente (almeno dal punto di vista del godimento del riposo da parte dei cittadini) oppure se continueranno a esistere, ma in un giorno diverso. E non è una differenza da poco. Nei giorni che hanno preceduto il varo della manovra economica, si era parlato di un loro spostamento obbligatorio al venerdì o al lunedì più prossimi. In questo caso, ovviamente, la festa sarebbe rimasta, ma spostata in un giorno diverso. E la principale conseguenza sarebbe stata l’eliminazione dei classici «ponti» vacanzieri. Il più ovvio e più lungo, l’incastro tra il 25 aprile e il Primo Maggio.
Nella conferenza stampa di venerdì sera, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti aveva detto una cosa diversa, parlando di «accorpamento alla domenica. In questo secondo caso le feste laiche e quelle dei «patroni» di fatto sparirebbero e basta, perché sarebbero «fuse» con la domenica più vicina.
Ci sarebbero le celebrazioni; ma sarebbe una domenica come un’altra.
E come dice il ministro Giulio Tremonti, ci sarebbe un inevitabile effetto sulla produzione e sul prodotto interno lordo, visto che gli italiani avrebbero diversi giorni di lavoro in più a partire dall’anno venturo.
Anche il 25 aprile, il primo maggio e il 2 giugno fanno la fine del 4 novembre. Fu nell’ormai lontano 1977 che la festa delle Forze Armate l’anniversario della vittoria nella Prima Guerra Mondiale - fu soppressa e spostata alla prima domenica di novembre.
E adesso succederà lo stesso alle festività laiche «costituzionali» rimaste, incidentalmente quelle che più o meno rappresentano l’eredità storico-culturale della «Repubblica nata dalla Resistenza»: la festa della Liberazione, la festa del Lavoro, la festa della Repubblica. Non è un segreto per nessuno che queste feste avevano «nemici» politici pesanti che in diverse occasioni in passato hanno cercato di farle fuori: nell’ordine, fascisti e postfascisti, Confindustria, la Lega Nord.
Solo che nel mirino del governo ci sono finiti anche i santi patroni delle città. Anche loro «spostati». Si sono salvate solo le feste «concordatarie», che sono definite in un trattato internazionale col Vaticano e quindi non si possono eliminare se non passando attraverso troppe complicazioni.
Vero è che ancora non è chiaro se le festività spariscono proprio completamente (almeno dal punto di vista del godimento del riposo da parte dei cittadini) oppure se continueranno a esistere, ma in un giorno diverso. E non è una differenza da poco. Nei giorni che hanno preceduto il varo della manovra economica, si era parlato di un loro spostamento obbligatorio al venerdì o al lunedì più prossimi. In questo caso, ovviamente, la festa sarebbe rimasta, ma spostata in un giorno diverso. E la principale conseguenza sarebbe stata l’eliminazione dei classici «ponti» vacanzieri. Il più ovvio e più lungo, l’incastro tra il 25 aprile e il Primo Maggio.
Nella conferenza stampa di venerdì sera, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti aveva detto una cosa diversa, parlando di «accorpamento alla domenica. In questo secondo caso le feste laiche e quelle dei «patroni» di fatto sparirebbero e basta, perché sarebbero «fuse» con la domenica più vicina.
Ci sarebbero le celebrazioni; ma sarebbe una domenica come un’altra.
E come dice il ministro Giulio Tremonti, ci sarebbe un inevitabile effetto sulla produzione e sul prodotto interno lordo, visto che gli italiani avrebbero diversi giorni di lavoro in più a partire dall’anno venturo.
Continua ...
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