Nella relazione annuale del sostituto nazionale della Dna Leonida Primicerio tra i procedimenti in fase d’indagine ne viene annoverato uno che è sicuramente un processo simbolo degli ultimi decenni nella nostra provincia: quello per l’uccisione del giornalista Beppe Alfano, ammazzato a Barcellona l’8 gennaio del 1993. Dopo aver ripercorso l’iter giudiziario che ha portato alla condanna definitiva per il boss mafioso barcellonese Giuseppe Gullotti come mandante e per l’esecutore materiale, il carpentiere Antonino Merlino, il magistrato scrive che «… in data 31 maggio 2010 è stata inoltrata richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari, atteso che le indagini svolte non hanno consentito di acquisire adeguati elementi di riscontro in merito alle piste investigative coltivate, e cioé eventuali collegamenti tra l’omicidio e la latitanza di Benedetto Santapaola nel territorio di Barcellona P.G., con riferimento anche all’operato del Ros dei carabinieri impegnati nella cattura di Santapaola, ed eventuale connessione tra l’omicidio e la strategia stragista di Cosa nostra di quegli anni». Ma a che punto è questa indagine? Sulla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura si era pronunciata tempo addietro il gup Maria Angela Nastasi, che nel settembre scorso aveva accolto soltanto due delle numerose richieste di approfondimento investigativo avanzate dall’avvocato Fabio Repici per conto dei familiari di Beppe Alfano, con l’opposizione alla richiesta di archiviazione. E proprio in questi giorni il magistrato della Dda che si occupa del caso, il sostituto Vito Di Giorgio, dovrebbe chiudere il cerchio su questi due approfondimenti. Cosa riguardano? Due vicende molto particolari. La prima: il 6 aprile del 1993 a Terme Vigliatore l’allora capitano “Ultimo” e tutta la sua squadra del Ros dei carabinieri intercettarono un grosso fuoristrada su cui pensarono d’individuare l’allora latitante, ed elemento di primissimo piano di Cosa nostra, Pietro Aglieri. Quel fuoristrada non si fermò all’alt e cominciò un inseguimento con annessi un paio di colpi di pistola. Finita la corsa si scoprì che sull’auto c’era un ragazzo, Fortunato Imbesi, che disse di non esser fermato all’alt perché pensava a un rapimento, essendo figlio di un imprenditore.
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