Inutili, in Cassazione, le orecchie da mercante del Comune di Milano che si rifiutava di ridurre la bolletta dell'acqua - su istanza di un ricorso della Fondazione dell' Istituto nazionale dei tumori - nonostante la mancanza del depuratore, anche se la Corte costituzionale, già nel 2008, aveva bocciato la norma che imponeva ai cittadini di pagare lo stesso il servizio di depurazione inesistente. A Palazzo Marino, che pretendeva il 'balzello' dicendo che i soldi erano comunque dovuti in quanto sarebbero finiti, in base alla legge n. 13 del 2009, a finanziare il "piano di ambito" per la realizzazione dei depuratori, i supremi giudici hanno tagliato la quota pretesa riferita al servizio di depurazione, dando ragione agli avvocati dell'istituto di ricerca.
In particolare, la Suprema Corte - con la sentenza 8318 - ha sottolineato che deve essere rispettato il "principio della corrispettività tra la quota dovuta ed il servizio di depurazione". Pertanto, come già avevano osservato i giudici della Consulta, "non si puó obiettare che la corrispettività fra la suddetta quota e il servizio di depurazione sussisterebbe comunque, perchè le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all'attuazione del Piano di ambito, comprendente anche la realizzazione dei depuratori". Il Piano di ambito, infatti, non garantisce che il depuratore sia costruito proprio nel Comune dove risiede l'utente, e non in un altro, e poi il cittadino - non manca di ricordare la Cassazione - potrebbe anche trasferirsi altrove e non si capisce perchè dovrebbe pagare in anticipo un servizio del quale nemmeno usufruirà.
Sia in primo sia in secondo grado, la magistratura milanese - con sentenze del 2004 e del 2008 - aveva dato ragione al Comune di Milano.
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