Per Bersani e i democratici il Cav se ne deve andare dopo la manovra. Ma non c’è una maggioranza pronta a sostituirlo
Se fossimo in Germania, locomotiva d’Europa,Pierluigi Bersani non potrebbe dire qualcosa del tipo: “Voteremo la manovra, ma poi il premier si deve dimettere”. E’ il sistema parlamentare in quel paese ad impedire i ribaltoni, ma il ragionamento, anche in Italia, sta in piedi: per fare un ribaltone, bisogna avere qualcosa con cui ribaltare: e l’opposizione parlamentare, in questo momento, questo qualcosa proprio non ce l’ha. Dunque, bisogna andare più nel profondo in questa dinamica non del tutto onesta: la verità? L’opposizione ha tutto l’interesse a vedere Silvio Berlusconi cucinare a fuoco lento e gestire questa imbarazzante crisi economica che è più nazionale che internazionale. Poi, si vedrà.
DIMISSIONI! – Come è noto, meno un governo ha per le mani una crisi da gestire, più è colpa degli altri: così, gli strali di Pierluigi Bersani fanno tutt’uno con la strategia messa a punto con le opposizioni: presentarsi come interlocutori credibili di un nuovo sistema economico italiano; marcare la differenza fra sé stessi e il centrodestra berlusconiano agonizzante nella sua fase finale; rispondere agli appelli di Giorgio Napolitano per l’Unità Nazionale, ma senza sbilanciarsi più di tanto. E così, ecco ciò che Anna Finocchiaro, a nome del PD, pensa dell’azione del governo: prima l’approvazione, poi le dimissioni.
Se la necessità del via libera alla manovra è patrimonio comune (a patto che non vengano inserite norme eterogenee, come la salva-Fininvest), il giudizio sul governo resta severo. “Una volta approvata la manovra in Senato tra domani e giovedì mattina e dopo un rapido passaggio alla Camera, chiederemo che questo governo vada via, perché è alla debolezza del governo che noi vediamo legata la debolezza del Paese” dice il presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro.
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