e il primo dell’Unicredit. Tutti gli investimenti in Italia dei fondi libici di quando il colonnello Gheddafi era un amico
La visitina di cortesia di ieri in Italia fatta dal capo dei ribelli libici Jibril era assolutamente necessaria. Per lui, certo, ma anche per noi visto che negli anni scorsi, quando il colonnello Gheddafi era ancora un amico fraterno e non un criminale di guerra da processare all’Aja, i fondi d’investimento della Libia erano stati utilizzati per fare shopping a piazza Affari e puntellare l’azionariato a rischio di tante imprese “strategiche” italiane. Tutti investimenti che ora vanno al nuovo governo, che potrà deciderne cosa fare. Anche vendere, ohibò, con conseguenze piuttosto indesiderate per il nostro paese. Il “tesoretto” del Colonnello ce lo racconta Federico De Rosa sul Corriere:
Secondo stime affidabili, i conti libici nel nostro Paese custodirebbero 9,8 miliardi di dollari, per la metà liquidi, depositati in Intesa Sanpaolo, Unicredit, di cui la banca centrale della Libia è azionista, e in Banca d’Italia. A cui vanno sommati i 3 miliardi di valore delle partecipazioni in Finmeccanica, Unicredit, Eni, Juventus detenute direttamente o indirettamente dalla Lia, il potente fondo sovrano libico in cui la Grande Jamahiriya ha reinvestito i proventi del petrolio e del gas. Un tesoretto tutt’altro che trascurabile, tenuto da Gheddafi nel Paese che storicamente ha rappresentato una delle basi logistiche più importanti per gli investimenti del regime di Tripoli, che negli anni 7o a Roma ha anche costituito una banca, Ubae, oggi in commissaria-mento straordinario. L’istituto, partecipato dalla Libyan Foreign Bank insieme a Unicredit, Intesa, Montepaschi, Eni, Telecom Italia, è stato uno dei più importanti crocevia dell’interscambio Italia-Libia. Un ponte che, anche dopo la firma del Trattato di Amicizia, ha aperto la strada di Tripoli a molte piccole e medie imprese italiane.
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