lunedì 12 ottobre 2009

Il direttore del New York Times "Pronto a rispondergli"

Stupore nelle redazioni straniere: "Sono parole sconcertanti".
La «stampa estera» non ci sta. I direttori dei giornali anglosassoni non amano essere trascinati nella polemica, soprattutto se legata alle vicende interne di un Paese straniero. La risposta, in questi casi, è generalmente un no comment: «Sono le nostre cronache a parlare».
Stavolta però, il j’accuse di Silvio Berlusconi è diretto, troppo per rinunciare, sia pur in nome del fair play, al diritto di replica. «Succede spesso che i premier se la prendano con la stampa estera e la usino a mo' di capro espiatorio, ma non mi è mai capitato nessuno che, come Berlusconi, avesse un tale disprezzo per la realtà dei fatti» osserva Bill Emmott, ex direttore dell'Economist, il settimanale britannico che incrocia le armi con il nostro capo del governo sin dal 2001, quando, a ridosso delle elezioni che l'avrebbero portato al potere, lo definì «inadatto a governare l’Italia».
Le parole sono pietre e rimbalzano lontano. Il direttore del New York Times Bill Keller se le trova sulla scrivania di primo mattino. «Se Berlusconi ha particolari rimostranze nei confronti della nostra copertura mi piacerebbe ascoltarle, sono pronto a rispondergli. Non c'è motivo per me di rispondere ad affermazioni generiche» commenta tagliando corto.
L'unica sfida che conta oggi, nella redazione progettata da Renzo Piano, è quella dei talebani in Afghanistan. Quel che colpisce, negli Usa come in Gran Bretagna, è la durezza dell'affondo. Al Financial Times, il quotidiano economico della City, le bocche sono cucite ma gli occhi tradiscono sorpresa. Nessuno afferra davvero la logica.
Il Financial Times, a differenza dei giornali di Murdoch, non ha interessi in Italia e fatica a comprendere l'anatema berlusconiano, a meno di leggervi la reazione di un politico in difficoltà che si difende dalle critiche mediatiche, a cui non è abituato, attaccando. Non che in passato Berlusconi avesse lesinato critiche ai corrispondenti esteri. Ma si trattava per lo più di battute. «E' sconcertante che il primo ministro italiano possa reagire in questo modo alla copertura della stampa straniera - nota Alan Rusbridger, numero uno dello storico Guardian -. Sembra incapace di distinguere tra le critiche dirette a lui e quelle al suo Paese. La sua idea di stampa indipendente appare piuttosto strana a molti giornalisti europei».
Gli inglesi in realtà cortocircuitano con il ruolo di Berlusconi prima ancora che con il suo pensiero. «Nel Regno Unito un imprenditore che avesse un tale controllo sui media non potrebbe mai diventare primo ministro» continua Bill Emmott.
Magari ci sarà pure un pizzico di pregiudizio, ma nulla che ecceda la dose standard:
«La copertura giornalistica di un Paese straniero riflette sempre un po' gli stereotipi che ci sono su quel Paese. Succederà di certo anche ai corrispondenti italiani. Ammesso che in Gran Bretagna esistano cliché sull'Italia, ce ne sono altrettanti su Spagna, Francia, Germania».
E se le critiche giornalistiche di Londra, New York, Parigi, finissero per rafforzare l'immagine di Berlusconi tra gli italiani? «La gente considera i media arroganti. La radice del successo di Berlusconi però è nel suo ottimismo, la positività ai confini della realtà, il vantaggio garantitogli dalla cattiva reputazione della sinistra che come alternativa non è migliore».
http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200910articoli/48144girata.asp

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