Divulgo quello che ... non tutti dicono ... / Perchè il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all'azione. (Edmund Burke)
sabato 20 agosto 2011
Tasse locali, in quindici anni sono cresciute del 138 %
Sono passate da 40,58 miliardi a 96,55 miliardi di euro. L'amministrazione centrale ha incrementato le entrate solo del 6,8 %. E ora i comuni saranno costretti o ad aumentare le imposte, o a tagliare i servizi. "A rimetterci sarà sempre il cittadino"
Nel 2011 calo di 88 mila posti di lavoro Autunno nero secondo Unioncamere
Crisi, Silvio perde un miliardo
Anche i ricchi piangono: i rovesci di Borsa fanno soffrire la galassia Mediaset
Silvio Berlusconi guarda gli indici di Borsa. E si scopre più povero per oltre un miliardo di euro. Mediaset, Mediolanum e Mondadori, le società quotate della galassia Berlusconi, si trovano a soffrire le perdite di Piazza Affari. Anche per cifre ingenti, come racconta Nino Sunseri su Libero:
Proprio ieri è stato annunciato che la quota in Mediaset è arrivata al 39%. Il Cavaliere si sta dimostrando un finanziere abile e fortunato. Cinque anni fa aveva collocato il 16,6% di Mediaset al 10,5 euro per azione scendendo verso la soglia del 30%. Ora si sta ricomprando parte di quelle azioni a 2,5 euro. Un’operazione di trading molto ricca. Resta il fatto che sul resto del patrimonio le botte sono state molto forti. Tanto più che la caduta non sembra avere termine. Il titolo Mediaset, negli ultimi sei mesi ha quasi dimezzato di valore e oggi veleggia a 2,5 euro. Male Mediolanum che ha lasciato sul terreno il 37%. Un po’ meglio Mondadori che si sta riprendendo dopo un 2010 molto difficile. Sull’andamento dei conti pesa la fatica della ripresa. L’amministratore delegato di Mediaset, Giuliano Andreani presentando la relazione semestrale ha gelato molte aspettative. Ha annunciato che quest’anno la raccolta pubblicitaria è destinata a scendere. Uno scivolone compreso fra il 4,5 e il 5%.
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http://www.giornalettismo.com/archives/140113/crisi-silvio-perde-un-miliardo/
Minzolini litiga con Giorgino al Tg1
L’episodio raccontato da Libero e Italia Oggi. Pietra dello scandalo: Giovanardi
Un litigio in piena regola, con alla fine Francesco Giorgino che abbandona la conduzione a 15 minuti dalla messa in onda. Questo, secondo Libero e Italia Oggi, sarebbe successo prima del Tg1 di giovedì sera, a pochi minuti dalla diretta. Pietra dello scandalo: una dichiarazione di Carlo Giovanardi, con il quale il telegiornale è in polemica a causa di Vasco Rossi, inserita nel servizio di Claudia Sala. Scrive Libero:
Tutto inizia quando Giorgino, caporedattore della redazione politica, inserisce una dichiarazione di Carlo Giovanardi in un servizio firmato dalla collega Simona Sala. Dichiarazione che il direttore, reduce da uno scontro con il sottosegretario di Palazzo Chigi in occasione dell’intervista nella quale Vasco Rossi ammetteva l’uso di sostanze stupefacenti, decide di cassare. A quel punto il conduttore si risente. E, per ripicca, annuncia l’intenzione di andare in video per lo “strillo” senza un testo scritto. Pratica che al Tg1 è vietata. Circostanza che non sfugge all’ufficio di coordinamento della testata, che informa subito il direttore. E Minzolini, terminato il “lancio”, chiede lumi a Giorgino.
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Spese con carta aziendale. Minzolini rischia il processo
Il direttore del Tg1 sotto accusa per un conto da 86 mila euro. La difesa: già restituiti 68 mila euro, è un attacco politico
Augusto Minzolini (Ansa) |
L'indagine era scattata nel marzo scorso in seguito alle denunce presentate da alcune associazioni di consumatori e dall'Idv, ma già dalla fine del 2010 attorno al caso Minzolini erano divampate le polemiche politiche e all'interno della Rai, con richieste di chiarimenti anche da parte del presidente Paolo Garimberti e del consigliere Nino Rizzo Nervo (centrosinistra), che aveva parlato di «stranezze» («Ha speso più del totale a disposizione dei 31 dirigenti Rai con la qualifica di direttore: 60 mila euro»), e annunci di querele reciproche fra i protagonisti della vicenda. Ora fra gli atti dell'inchiesta depositati ci sono i verbali del consiglio d'amministrazione della Rai e il resoconto dell'indagine interna condotta da Masi, oltre alle ricevute delle spese sostenute dal direttore e agli accertamenti svolti dalla Guardia di finanza presso la Deutsche Bank che aveva emesso la carta di credito Rai.
In particolare, come era già emerso nel dicembre 2010 dalla relazione a firma di Andrea Sassano, capo dello staff dell'allora direttore generale, gli 86.680 euro erano stati spesi in pranzi, cene e viaggi di rappresentanza in 129 giorni di trasferta, 40 delle quali avvenute nei fine settimana. Nel rapporto si faceva riferimento anche a soggiorni a Venezia, Istanbul, Londra, Marrakech, Cannes, Praga e Amburgo. Nei mesi scorsi Minzolini ha restituito 68 mila euro di quella cifra e l'azienda lo ha «assolto», qualificando le trasferte con la carta di credito aziendale come «spese di rappresentanza».
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Previdenza: donne, anzianità e contributi Le ipotesi per rafforzare la manovra
Sull'età pensionabile femminile si punta ad arrivare a 65 anni già nel 2016
ROMA - Il governo era partito giurando: no, l'età pensionabile per le donne non si tocca. Poi con la prima manovra, quella dello scorso 6 luglio, c'è stato un primo ripensamento, con la decisione di aumentare gradualmente l'età per la pensione di vecchiaia delle donne da 60 a 65 anni, come per gli uomini (e per le donne del pubblico impiego, a seguito di una sentenza della Corte europea di giustizia). Si partiva nel 2020 con 60 anni e un mese e si finiva nel 2032 con 65 anni. Poi, con la manovra bis del 13 agosto, il percorso è stato accelerato. Si partirà nel 2016, sempre con 60 anni e un mese, per finire nel 2028. Adesso, tra le ipotesi che circolano, per correggere o rafforzare ulteriormente la manovra in sede di discussione parlamentare, c'è anche quella di una nuova accelerazione. Giuliano Cazzola (Pdl), vicepresidente della commissione Lavoro della Camera, propone per esempio di partire già nel 2012 e con aumenti di un anno ogni dodici mesi, in modo da arrivare a 65 anni nel 2016. «I risparmi di spesa sarebbero davvero notevoli», sottolinea Cazzola.
La relazione tecnica alla prima manovra stimava risparmi per 145 milioni nel 2021 «progressivamente crescenti» fino allo «0,4% del Prodotto interno lordo nel periodo 2031-2040», cioè la bellezza di 6,5 miliardi a valori attuali. La relazione tecnica alla manovra bis fa notare che a questi risparmi vanno aggiunti quelli che si realizzeranno per effetto dell'anticipo della misura: 112 milioni nel 2017, 320 milioni nel 2018, 565 milioni nel 2019, 1,2 miliardi nel 2020, 1,8 miliardi nel 2021. È chiaro che se si partisse nel 2012 questi risparmi si otterrebbero subito.
Ma non è questa l'unica ipotesi in circolazione. Ce ne sono altre che, in teoria, hanno maggiori chance di quella sulle donne, dove il no della Lega appare insormontabile. È il caso delle pensioni di anzianità. Adesso la possibilità di lasciare il lavoro in anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia è regolata dal sistema delle «quote», fissato dalla riforma Damiano del 2007. Fino a tutto il 2012 vige quota 96, si può cioè andare in pensione di anzianità avendo 36 anni di contributi e 60 di età oppure 35 di contributi e 61 di età (per gli autonomi la quota è 97). Dal 2013 scatterà quota 97 per i lavoratori dipendenti (36+61 o 35+62) e 98 per gli autonomi. Come ha fatto notare di recente il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, la riforma Damiano fu fatta per ridurre il cosiddetto «scalone», cioè l'età di pensionamento improvvisamente aumentata dalla riforma Maroni del 2004. Un'operazione sbagliata e antistorica, secondo Sacconi. Ora, se per rimediare, si stabilisse un'accelerazione delle quote, per esempio, facendo scattare quella 97 già nel 2012, si potrebbero risparmiare all'inizio alcune centinaia di milioni e nel giro di qualche anno almeno un miliardo. Ma secondo Cazzola bisognerebbe fare ancora di più: «Arrivare in 5 anni a quota 100 e abolire la possibilità di lasciare il lavoro con 40 anni di contributi indipendentemente dall'età» (che poi, in realtà, diventano 41 con l'applicazione della cosiddetta finestra mobile). Probabilmente non si arriverà a tanto, ma l'anticipo di quota 97 non è da escludere.
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Orari liberi per i negozi e accesso alle professioni: i nuovi stop ai vincoli
Sui taxi si cambia, niente numero chiuso. La «vacatio legis» sull'acqua e la svolta per tabaccai e farmacie
ROMA - Negozi in città aperti anche di domenica, a Ferragosto o Natale: l'ultima manovra estende la sperimentazione prevista in quella di luglio che era limitata alle località turistiche e alle città d'arte. Via alla liberalizzazione dei servizi pubblici, con le Regioni e gli enti locali chiamati entro un anno ad adeguare i propri statuti alla libera concorrenza. E se le lenzuolate di Bersani avevano incontrato delle resistenze, il decreto prevede una spinta: l'adeguamento di Comuni, Province e Regioni «costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli enti» in base al «nuovo patto di stabilità interno». Addio anche - almeno sulla carta - al numero chiuso per tabaccai, edicole, farmacie, taxi e per tutte le attività contingentate in base al bacino di utenza. Nella manovra di Ferragosto è espresso un principio di liberalizzazioni tout-court: «L'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge». Una mossa che divide. «La norma serve al governo per avere il titolo "liberalizzazioni" nella manovra perché glielo chiedeva l'Europa. In realtà colpendo tutto non colpisce nessuno, perché il governo non ha interesse a toccare determinati settori», attacca Antonio Lirosi, che è stato il primo «Mister Prezzi» e oggi è responsabile diritti dei consumatori del Pd. Bisogna fare delle distinzioni, ribatte Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo: «Solo trasporti, ambiente e servizio idrico» sono direttamente liberalizzati. Anche l'acqua, dopo il referendum? «Per come è stato propagandato il referendum si chiedeva di scegliere: acqua pubblica sì o no. In realtà - risponde Saglia - abrogando l'articolo 23 bis si è creata una vacatio legis . Ma c'è confusione, liberalizzare non vuol dire cedere ai privati». Ecco cosa prevede la manovra:
Licenze, addio alle restrizioni Entro dicembre vanno «abrogate le restrizioni in materia di accesso ed esercizio delle attività economiche». Dunque le licenze non avranno più vincoli per «area geografica, popolazione e criteri di fabbisogno»: ci potrebbero essere due farmacie o due tabaccherie nella stessa strada e nessuna nelle periferie poco appetibili commercialmente; via i divieti di esercizio di una attività economica al di fuori di una certa area geografica e le imposizioni di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate. «Singole attività economiche possono essere escluse» con decreto del presidente del Consiglio. Ma così come è scritta la manovra bis, l'interpretazione è quella di una liberalizzazione omnibus. «Sì, ma questo non significa che sia politicamente percorribile», chiarisce Saglia: ci sono da bilanciare gli interessi delle categorie interessate e la norma si deve armonizzare con le competenze delle Regioni e dei Comuni. Infatti, «la fase successiva sarà un regolamento e il passaggio in Conferenza Stato-Regioni e in quel contesto andranno valutati i settori di intervento».
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Metà dei Parlamentari ha il doppio incarico e diserta l'Aula
Meno di tremila euro al mese e il doppio lavoro si conserva. Salvi i 6 con due incarichi pubblici
Più che una norma ben scritta e prima ancora pensata, l'articolo 13 del decreto legge sulla manovra aggiuntiva entrato in vigore il 13 agosto, sembra una grida manzoniana, «una grida fresca» che «son quelle che fanno più paura», come commentava Azzeccagarbugli nel terzo capitolo dei Promessi Sposi . Ma che poi alla fine hanno poco effetto.
Il decreto prevede che, per deputati e senatori che svolgano attività che fruttino loro un reddito pari o superiore al 15 per cento dell'indennità della carica parlamentare, essa venga dimezzata. Alla Camera attualmente corrisponde a 5.486,58 euro netti (cui vanno aggiunti i rimborsi forfettari per le spese telefoniche, di viaggio e per i collaboratori, che costituiscono gran parte dello «stipendio», che arriva a 14 mila euro netti per un qualsiasi peone, ma è molto di più per un presidente di commissione o un segretario d'aula o chiunque abbia un altro incarico interno).
Un «biglietto da visita» In altre parole un deputato o un senatore che abbia un'attività professionale dovrà rinunciare solo a 2.700 euro netti al mese. A fronte di fatturati di molte decine o centinaia di migliaia, se non di milioni di euro. Sacrificando meno di 35 mila euro l'anno (2.700 per 12 mesi), insomma, un avvocato potrà utilizzare il brand «CD» (Camera dei Deputati) o «S» (Senato) con tutti i risvolti positivi che ciò comporta, a cominciare dal fatto che il marchio - cosa ben nota - funziona da moltiplicatore di parcelle. Adesso è semplicemente un biglietto da visita che costerà un po' di più. Ma che paradossalmente mette il deputato (speriamo non definitivamente) al riparo dal dover rispondere di piccoli e grandi conflitti di interesse tra la sua attività professionale e la sua attività legislativa. Come poi possa apparire l'articolo 13 una grida manzoniana è presto detto. Al di la del «quanto», è la logica che non torna, perché diciamo così, inverte «l'onore» della prestazione lavorativa. Un esempio opposto viene dal mondo accademico (che pure da sempre ha attirato critiche per la scarsa efficienza): i dottori di ricerca non possono svolgere una seconda attività che superi della metà l'importo della loro borsa. E non il contrario. Cioè si pretende che si svolga innanzitutto il lavoro per cui si è «stipendiati» e poi, se avanza del tempo, si permette una quota residuale di lavoro «autonomo».
Che la situazione non stia in piedi, se ne deve essere reso conto anche l'estensore materiale del prescritto dimezzamento dell'indennità, perché l'articolo 13 afferma che si prende questo provvedimento «in attesa della revisione costituzionale concernente la riduzione del numero dei parlamentari e della rideterminazione del trattamento economico omnicomprensivo attualmente corrisposto...». Una premessa che la dice lunga su come vanno le cose.
Metà del Parlamento ha un doppio lavoro
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Israele-Egitto: cresce tensione
Gaza:raid Israele,14 morti in due giorni
(ANSA) - GAZA - Quattordici palestinesi hanno perso la vita a Gaza nel corso di una ventina di raid aerei israeliani condotti in seguito all'attacco di giovedi' nel Neghev, a nord di Eilat. Lo affermano fonti locali. In seguito a questi attacchi il braccio armato di Hamas ha detto di non sentirsi piu' vincolato da una tacita tregua con Israele che era in vigore da due anni e mezzo. Nei raid delle ultime ore e' rimasto ucciso anche un responsabile del braccio armato della Jihad islamica.
Escalation in M.O., missili su Israele e raid a Gaza. Hamas denuncia fine della tregua
La Chiesa si tiene tre miliardi di euro. Tutti i privilegi che la manovra non toccherà
Mauro Favale su Repubblica ci fornisce un numero interessante: esenzioni di Ires e Ici e 8 per mille gonfiato, tutto quello che la Chiesa oggi si porta a casa grazie alle varie prebende dello Stato italiano, e che la manovra non toccherà. Nelle stime più ottimistiche, tutto ciò vale 3 miliardi di euro:
Si procede per stime, insomma:Secondo i calcoli dell’Anci, il mancato gettito da Ici da parte di strutture legate alla Chiesa è di 400 milioni di euro. Una cifra alla quale andrebbe aggiunta un’area di sommerso non ancora stimata. Uno studio di qualche anno fa (condotto dal “Gruppo religiosi ed ecclesiastici”), ha stimato il patrimonio immobiliare della Santa Sede nel 20% dell’intero patrimonio immobiliare italiano. Seppure manca l’ufficialità, qualche cifra c’è: tra le proprietà della Chiesa (circa 100mila immobili) ci sarebbero 8.779 scuole, 4.712 centri legati al settore della sanità (entrambe attività in concorrenza con pubblico e privati) e 26.300 strutture ecclesiastiche.
Lo Stato in saldo: vendesi caserme e uffici
Acquisto tramite Fintecna che poi rivenderebbe sul mercato: le ipotesi dell’agenzia delle entrate
Non esattamente una partita di giro, ma quasi. Lo Stato sarebbe pronto a raschiare il fondo del barile, ovvero alienare uffici pubblici e caserme facendole acquistare alla Fintecna (l’ex “gloriosa” Iri), allo scopo di fare cassa. Con l’azienda pubblica che anticiperebbe la liquidità, secondo quanto scrive Mario Sensini sul Corriere della Sera:
Le indiscrezioni trapelate dalle agenzie parlano della vendita degli uffici pubblici e delle caserme (che per inciso è già in corso), con il coinvolgimento di Fintecna, che potrebbe acquistare gli immobili anticipando la liquidità allo Stato. Un meccanismo già sperimentato in passato con le cartolarizzazioni, ma che non si è dimostrato granché efficace. L’accelerazione delle dismissioni (ieri il deputato pdl Giorgio Jannone ha anche proposto la cessione di parte delle riserve auree della Banca d’Italia) resta comunque sul tavolo. Citata dal capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, in una lettera a Il Giornale, come possibile tema di confronto nella maggioranza.
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Due milioni a rischio mobilità Via al valzer degli statali
La manovra-bis prevede il trasferimento per esigenze tecniche e organizzative
ROMA Ve lo diciamo in burocratese, abbiate pazienza: «I dipendenti delle amministrazioni pubbliche, esclusi i magistrati, su richiesta del datore di lavoro, sono tenuti ad effettuare la prestazione in luogo di lavoro e sede diversi, sulla base di motivate esigenze, tecniche e organizzative» (articolo 1 della manovra all’attenzione del Senato, comma 29). Se avete capito qualcosa, avete capito bene: d’ora in avanti i dipendenti pubblici potranno essere trasferiti dove servono (sia pur in ambito regionale) sennò, tanti saluti. La norma non si applica solo ad alcune categorie che hanno già una regolamentazione della mobilità in atto (scuola, forze dell’ordine, università). Sintesi: su 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici, 2 milioni e 100 mila debbono stare sul chi vive. La cosa, peraltro, avviene nel momento in cui quasi duemila comuni e 30 province (nulla è più incerto di questi numeri fluttuanti) chiudono baracca e lasciano «in mobilità» circa 25-30 mila dipendenti. Dunque c’è da attendersi un inedito giro di valzer? Per avere la risposta ci siamo rivolti al segretario della Cgil Funzione pubblica, Michele Gentile, non come sindacalista ma come grande esperto di burocrazia pesante, in grado di fare l’esegesi di un testo legislativo oscuro per i più. Mobilità «Il senso è - sintetizza Gentile, in romanesco - ‘ndo me servi te metto». La possibilità di trasferire pubblici dipendenti esiste da sempre ma era, in genere, oggetto di contrattazione sindacale o con il singolo. Ora la norma si fa perentoria e riguarda tutti (con le eccezioni di cui sopra). Certo, si fa tutto d’accordo con il sindacato ma, «nelle more della contrattazione» dice sempre la legge, valgono le esigenze delle varie amministrazioni. E poiché il prossimo contratto - ammesso che affronti e deliberi su questa materia - si farà nel 2015, da qui ad allora i dipendenti possono essere spostati dove serve, nell’ambito della regione. Con buona pace di chi storce il naso.
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http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/416299/
Spunta l'ipotesi dismissioni Bossi: "L'Italia finisce male"
L'ultima carta del governo: vendere il patrimonio pubblico. Caserme e uffici nel mirino. Il Senatùr: pronti alla Padania
ROMA Caserme e uffici pubblici nel mirino: tra le ipotesi, nel "cantiere" manovra ci sarebbero anche possibili nuove dismissioni del patrimonio pubblico. La misura potrebbe essere giocata durante l’iter parlamentare come ultima carta se saranno necessarie nuove risorse. La necessità di venire incontro alle famiglie, anche dopo le parole pronunciate dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, potrebbe essere una delle esigenze. Ma resta anche tutta la questione degli enti locali, ancora sul piede di guerra. Sulle pensioni invece si tratterebbe, perchè una nuova stretta porterebbe entrate strutturali e non solo una tantum come nel caso della vendita di immobili pubblici o nella riedizione di uno scudo fiscale bis. È il capogruppo della Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto d indicare alcuni temi sui quali avviare «una seria riflessione». Tra questi anche il quoziente familiare e la vendita di una quota di immobili statali. In serata arriva il commento durissimo di Bossi. Il leader della Lega è molto pessimista sul futuro dell'Italia e rispolvera l'aspirazione leghista di una nazione del Nord: «Quel che sta avvenendo è una svolta storica, non è una cosina da niente - ha detto il Senatùr in un comizio a Schio - la gente capisce sempre di più che l'Italia va a finire male e quindi prepararsi al dopo. E per noi il dopo è la Padania. Dobbiamo essere pronti». La possibile vendita di caserme e uffici pubblici sarebbe già allo studio, riferiscono fonti di maggioranza, e tecnicamente il veicolo per fare queste operazioni potrebbe essere Fintecna, alla quale potrebbe passare una quota di immobili in cambio di liquidità immediata. Sull’entità di una eventuale operazione di vendite non trapelano cifre, ma è evidente che su un patrimonio di oltre 500 miliardi di euro, anche una piccola quota in questo momento darebbe fiato al governo per ammorbidire alcune delle misure della manovra che non piacciono.
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http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/416293/
Gaza/ nuovo raid israeliano: altre vittime palestinesi, 11 morti
GAZA: Altri due palestinesi sono stati uccisi questa sera durante un nuovo raid aereo israeliano nel centro della striscia di Gaza. Lo hanno indicato una fonte medica palestinese e un testimone.
"Due martiri sono caduti all'ingresso del campo profughi di Bureij", ha dichiarato il responsabile del servizio emergenze. "Il raid ha riguardato due giovani palestinesi a bordo di una moto che sono deceduti", ha precisato un testimone. Un ronzio ha lanciato un razzo su due giovani palestinesi a bordo di una moto e li ha uccisi", ha precisato un testimone. Un altro raid israeliano ha riguardato un obiettivo nella città di Khan Younis senza fare vittime, secondo testimoni. La morte di questi due palestinesi porta a undici il numero delle vittime palestinesi nei raid aerei israeliani dall'attacco triplo condotto ieri nel sud di Israele.Afghanistan, Washington preme su Kabul: truppe Usa fino 2014
Un partito fuorilegge
- di Walter Peruzzi-
Quanto più la Lega Nord reagisce alle difficoltà e alla perdita di consensi con atteggiamenti beceri e arroganti, tanto più appare evidente che si tratta, come ha scritto Cinzia Sciuto su queste pagine il 2 agosto, di «una forza politica anticostituzionale, che non dovrebbe avere diritto di sedere in parlamento».
Una forza politica secessionista e razzista… La Lega presenta due profili di anticostituzionalità: il primo sta nel suo nome e nel suo statuto, che contrastano con l’art. 5 della Costituzione, secondo cui l’Italia è «una e indivisibile». L’art. 1 dello statuto leghista, invece, afferma: «Il movimento politico denominato “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”.. ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica federale indipendente e sovrana» (corsivi miei).
La Lega confligge inoltre con il divieto costituzionale (XII norma transitoria) di ricostituzione del partito fascista là dove la legge 20 giugno 1952 n. 645, che dà applicazione a tale divieto, stabilisce che si ha riorganizzazione del partito fascista quando si perseguono «finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando,minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista» (corsivi miei).
… incompatibile con la Costituzione Ora, si potrà forse sostenere che la Lega si ripromette di giungere in modo democratico alla secessione. Ma, finché non avrà raggiunto l’obiettivo con un referendum che cambi la Costituzione e sancisca la divisione del paese, un simile partito non può certo governare cioè giurare con propri ministri sulla Costituzione, secondo cui l’Italia è “una e indivisibile” (art. 5), e contemporaneamente tradirla invocando, come hanno fatto nel giugno scorso a Pontida Maroni e Bossi, l’indipendenza della Padania o addirittura praticando l’obiettivo della secessione. Il che la Lega ha fatto in questi mesi spostando, seppure in forma solo propagandistica e buffonesca, i ministeri a Nord; impedendo l’approvazione del decreto sui rifiuti di Napoli; e cercando di accreditare l’esistenza della Padania, perfino con l’inserimento nel calendario ciclistico internazionale del Giro di Padania (in realtà Nord Italia), sponsorizzato dai leghisti abusando di posizioni di governo (come ha fatto il leghista Michelino Davico, promotore del giro e sottosegretario agli interni).
Sotto l’ altro profilo poi, quello razzista, le idee e le pratiche della Lega Nord mettono questo partito in contrasto evidente con la Costituzione, collocandolo a pieno titolo fra le organizzazioni che «minacciano o usano la violenza quale metodo di lotta politica»: si pensi alla organizzazione in passato della Guardia nazionale padana, organizzazione paramilitare di cui era reclutatore l’attuale ministro degli Interni, e delle Camicie verdi a lungo indagate dai magistrati di Verona. O si pensi alle aggressioni, organizzate e vantate, contro i campi rom a Treviso e Opera; alle ronde fai da te, poi istituzionalizzate (e anestetizzate).
Ma tutta la politica sull’immigrazione è un intreccio di minaccia e uso della violenza, di istigazione all’odio razziale, di propaganda razzista, xenofoba, antislamica e chi più ne ha più ne metta. C’è solo l’imbarazzo della scelta, delle citazioni o delle iniziative, fino alle ultime dichiarazioni di Borghezio, dopo la strage di Oslo. Mi limito a tre esempi eclatanti, vantati dal ministro degli Interni Maroni che ne è l’autore: la raccolta delle impronte digitali per i minori rom nel 2009; i respingimenti in mare dei profughi, fatti passare per clandestini, dal maggio 2010; la detenzione preventiva, per persone che non hanno commesso reati, passata da due a sei mesi nel 2009 e poi a 18 mesi nel 2011. Misura quest’ultima che la normativa europea prevede, ma solo in casi eccezionali.
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http://informarexresistere.fr/2011/08/20/un-partito-fuorilegge/