mercoledì 30 giugno 2010

Ferma condanna. O quasi...

Berlusconi teme l'affondo finale "Ora proveranno a colpire pure me"

Il Cavaliere è convinto che altre procure stiano preparando nuove inchieste: "Sentenza politica, i giudici giacobini assolvono Tartaglia e non Marcello". E il Pdl ora vuole cambiare il reato di concorso esterno.
SAN PAOLO - "Assolvono Tartaglia, uno che ha provato ad ammazzarmi, e condannano Marcello solo per aver conosciuto 30 anni fa delle persone che poi si sarebbero scoperte vicine alla mafia. Questa è la magistratura giacobina che ci ritroviamo". Il premier si trova nella suite dell'hotel Tivoli di San Paolo quando dall'Italia gli giunge la notizia della condanna di Dell'Utri. I contatti con Roma sono limitati, filtrati dal portavoce Bonaiuti, ma qualcuno che assicura di averci parlato descrive un Berlusconi "molto preoccupato" per quella che ritiene essere "l'ennesima sentenza politica" di una magistratura ostile al governo. Non a caso, la sera prima, si era premurato di rispolverare - a beneficio del gotha degli imprenditori italiani in Brasile - quella definizione di "metastasi" per i pm "politicizzati". Un'uscita preventiva in vista della sentenza di ieri, da cui tuttavia il Cavaliere si tiene ben lontano: non vuole parlare di Dell'Utri, non intende farsi trascinare nella mischia. Così, al suo rientro in albergo dopo il pranzo con il presidente Lula, si tiene alla larga dai taccuini e si rifugia di corsa nella sua stanza protetto dalla scorta e dallo staff. "Avete già fatto troppi danni ieri", sibila ai giornalisti.
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http://www.repubblica.it/politica/2010/06/30/news/berlusconi_teme_l_affondo_finale_ora_proveranno_a_colpire_pure_me-5265786/

Abruzzo: lo scandaloso cratere della vergogna

Fin dove arriva la mano dell’uomo quando c’è odore di denaro? Vi sono limiti che non si valicano? Muri che non si abbattono? La risposta, in ogni caso, è "no". L’uomo fiuta l’odore del denaro e non sente minimamente quello del sangue e della morte. Odora l’aria del business e poco importa se in questo business ci sono storie di vite umane cancellate dal mondo o migliaia di famiglie gettate nella disperazione. Anzi: più vite umane sacrificate alle tragedie nazionali, più denaro che vorticosamente passa di mano in mano. Ne è un esempio, lampante quanto degenerato, tutto ciò che è accaduto ed accade ancora dacché la terra ha tremato in Abruzzo, quell’ormai noto 6 Aprile del 2009. C’è chi si è fregato subito le mani, pochi minuti dopo la scossa assassina. Ridendo al cellulare in previsione di guadagni favolosi – leciti o meno – a portata di mano. C’è chi ha messo il piede nell’accelleratore per sfruttare al massimo sia la pena di una nazione annichilita da tanto strazio umano, sia le risorse economiche che il tesoro mette prontamente a disposizione quando bisogna correre e presto ai ripari. Per alcuni, le disgrazie degenerano in tragedia. Per altri diventano ulteriore fonte di guadagno. E’ il male incurabile dei nostri tempi. Nulla arresta l’infernale carrozzone di chi specula, anche e sopratutto, sul sangue umano. Subito dopo il sisma, un nuovo terremoto ha riempito cronache e telegiornali. E’ il terremoto delle informazioni, degli accadimenti, degli abusi scoperti troppo tardi, dei crolli che potevano essere arginati, del denaro che ha cominciato a fluire: non certo per le ricostruzioni, ché per quelle – semmai – c’è tempo. Il terremoto in parallelo a chi ha assaggiato il fango delle tendopoli d’inverno e l’assurda constatazione che molte cose si potevano evitare: morti in testa. E’ il terremoto che parla di denaro, appalti, speculazioni. Quello che tocca molti imprenditori e politici, avvezzi ormai solo al miglior guadagno seppur a cagione della sicurezza e serenità nazionale.
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