venerdì 28 marzo 2014

Il FEMA americano e la mega emergenza: tra campi, bare, scorte, mezzi ed altre stranezze

Ormai sono anni che sentiamo parlare di campi di concentramento e detenzione del FEMA (Federal Emergency Management Agency) americano, dell’acquisto di bare a sei posti, di intere aree di cimiteri, di razioni liofilizzate a milioni, mezzi speciali, ecc.. ma di cosa stiamo parlando realmente? Cosa c’è in moto, e a cosa servono tutti questi preparativi ed accantonamenti di materiale, a cosa servono tutti questi campi e l’approvvigionamento di scorte alimentari e di beni di prima necessità, soccorso, sopravvivenza e via discorrendo?
Iniziamo a vedere cosa sono i campi FEMA ed a cosa potrebbero servire. Osservando il panorama visibile in rete, tra siti governativi, di protesta contro i campi, e notizie che arrivano da tutti i fronti (compreso video che ci mostrano queste zone con riprese aeree), si può capire che essenzialmente essi sono di tre tipi e con differente strutturazione. Il primo tipo in effetti, come dicono le voci complottistiche, sembra un campo di prigionia classico, il secondo sembra un campo di protezione e il terzo sembra addirittura un agglomerato urbano indipendente. Scendiamo più in dettaglio e vediamoli da vicino.
I campi del FEMA
Il dislocamento dei campi FEMA sul territorio U.S.A.

Un campo di concentramento o detenzione è composto da alcune linee di recinzione che mostrano sempre la sua parte più alta rivolta verso l’interno del campo, formando di fatto (se vista di lato) una Y a cui manca l’asta rivolta verso l’esterno; questo accorgimento del reticolo di recinzione rivolto verso l’interno, viene fatto per diminuire le possibilità di fuga dei prigionieri, e più raramente questo è rivolto anche verso l’esterno a formare invece una Y completa (sempre se guardata di profilo). La parte superiore delle recinzioni è coperta da filo spinato, questo è già di per sé un ostacolo che aumenta le difficoltà di oltrepassare la recinzione; il filo spinato degli USA è famoso ed acquistato in tutto il mondo per le sue proprietà uniche; infatti, al posto dei classici fili intrecciati ci sono delle vere e proprie lamette che nulla hanno da invidiare a quelle dei più affilati rasoi. Di questo tipo di recinzione ve ne sono solitamente almeno due, posizionate l’una dall’altra ad una distanza di alcuni metri per evitare che chi riuscisse a superare la prima barriera, non possa riuscire a farlo con la seconda. Inoltre intorno al perimetro del campo, sono presenti torrette di controllo con alcune sentinelle il cui ingresso è spesso rivolto all’esterno della prima recinzione (in modo da non essere accessibile ai detenuti) ma allo stesso tempo è protetta anche da intrusioni dall’esterno. Tutto il campo è composto da anelli concentrici indipendentemente dalla forma e l’estensione dell’area, ed all’interno di essi sono presenti baracche tipiche prefabbricate in legno alternate a spiazzi (una scena che abbiamo purtroppo già visto nei “lager”e “gulag” rispettivamente tedeschi e sovietici).
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http://www.seven-network.it/2013/10/25/il-fema-americano-la-mega-emergenza-campi-bare-scorte-mezzi-ed-altre-stranezze/

In Italia ci sono 70 bombe atomiche ma nessuno lo sa


«Nessun governo italiano di centrodestra o di centrosinistra, non negando e non dicendo, ha mai ammesso la presenza di arsenali atomici sul nostro territorio nazionale, anche se all'estero tutti sanno quante sono e dove sono», spiega lo storico e docente universitario Maurizio Simoncelli. E dice: «la Nato mostra difficoltà ad abbandonare la vecchia mentalità di difesa e deterrenza, di cui le armi nucleari tattiche sono un pilastro».
La guerra fredda è finita da più d vent’anni, la Seconda guerra mondiale da più di mezzo secolo, eppure le bombe nucleari tattiche statunitensi sono ancora in Europa. Armi con una potenza distruttiva pari a 900 volte quella delle bombe di Hiroshima o Nagasaki. Bombe dislocate anche in Italia, a Ghedi Torre, vicino Brescia e Aviano, in provincia di Pordenone.
«Le armi nucleari tattiche erano state schierate in Europa al fine di prevenire un possibile attacco militare sovietico di tipo convenzionale o nucleare su scala limitata. Tutto questo appare ormai superato sia militarmente, sia politicamente» spiega il professor spiega lo storico e docente universitario Maurizio Simoncelli, vice presidente dell’Archivio Disarmo, tra i massimi esperti della questione. Ma nel nostro Paese, a differenza degli altri, «nessun governo ha mai ammesso la presenza di tali arsenali», nessuno conosce i costi di manutenzione e gestione perché «sui nostri bilanci della Difesa non vi è alcuna indicazione. E' tutto segreto. Gli italiani sono trattati come minori che non devono sapere» ammette Simoncelli. Inoltre «secondo un rapporto riservato dell'Air Force alcune basi risultano a rischio, a causa della mancanza di misure di sicurezza». Tra queste anche la base italiana di Ghedi di Torre.
Bombe nucleari che «dovrebbero essere trasportate dai nuovicacciabombardieri monoposto F35». Già. Quelli di cui l’Italia vorrebbe dotarsi per un costo complessivo di 15 miliardi. Anche se con qualche ripensamento del ministro della Difesa Giampaolo Di Paola. Tutto questo benché l’articolo 11 della nostra Costituzione sancisca il ripudio della guerra come strumento di offesa e l’Italia abbia firmato e ratificato il Trattato di non proliferazione nucleare.
Professor Simoncelli, perché nonostante il discorso di Praga del presidente Barack Obama e il clima di distensione maturato in questi ultimi anni, volto al ritiro della armi nucleari, non si è arrivati ancora ad una revisione strategica della posizione dell’Alleanza Atlantica che consenta il ritiro delle armi nucleari tattiche dal territorio europeo?
La Nato con la nuova Dottrina Strategica adottata a Lisbona nel 2010 ha attribuito un ruolo minore alle armi nucleari tattiche statunitensi in Europa, ipotizzandone anche un possibile ritiro. Questa nuova Dottrina Strategica della Nato, però, ipotizza tali ulteriori riduzioni su una base di reciprocità con la Russia, condizione che non si richiedeva negli anni immediatamente successivi alla guerra fredda e che presuppone pertanto Mosca come un nemico. Va notato che la Nato mostra difficoltà ad abbandonare la vecchia mentalità di difesa e deterrenza, di cui le armi nucleari tattiche sono un pilastro. In Europa, ancor più che in America, vi sono alcune forti resistenze ad un cambiamento significativo. D'altro canto, Washington ha compiuto atti significativi, sia ritirando le armi nucleari B-61 da Ramstein (Germania) e da Lakenheath (Gran Bretagna), sia riducendone più della metà (dalle 480 dell’amministrazione Bush alle 200 stimate dell’amministrazione Obama). Il nuovo presidente statunitense ha poi dichiarato nel 2010 con la Nuova Dottrina Nucleare l'intenzione di voler ritirare i circa 320 missili nucleari Cruise mare/terra Tomahawk.
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