domenica 8 gennaio 2012

Tobin Tax europea, alt del Regno Unito Cameron: "Siamo pronti a bloccarla"

(Xinhua)
Londra, 8 gen. (Adnkronos) - Il premier britannico David Cameron ha annunciato l'intenzione di porre il veto su una proposta per introdurre una Tobin Tax europea sulle transazioni finanziarie. "Se i francesi vogliono procedere con una tassa sulle transazioni nel loro Paese, allora dovrebbero essere liberi di farlo. Ma l'idea di una nuova tassa europea mentre non avremo la stessa tassa in altri luoghi non credo sia assennata, e quindi la bloccherò a meno che il resto del mondo non concordi nello stesso momento di adottare tutti insieme lo stesso tipo di tassa".
Intervenendo alla Bbc, il premier ha anche promesso di lavorare per ridurre la disoccupazione durante l'anno appena iniziato, spiegando che l'intero governo sta lavorando "ad un'agenda della crescita" per l'economia.
La Tobin tax, la tassa che prevede di colpire le transazioni finanziarie per reperire risorse da destinare alla comunità internazionale, divide l'Europa. Porta il nome del premio Nobel per l'economia James Tobin. La propose nel lontano 1972 e, da allora, ciclicamente è stata all'attenzione dei governi. Ora, con la crisi che impone sacrifici per rastrellare risorse da impiegare a sostegno dei singoli stati in difficoltà, torna al centro della scena europea. A fine settembre la Commissione ha presentato una proposta di introduzione, a partire dal 2014.
La Francia spinge per accelerare, ed è pronta a fare da apripista con un provvedimento nazionale. La tassa, ha assicurato il ministro della Finanze francese Baroin, "vedrà il suo giorno nell'anno in corso". L'Eliseo spera di "procedere velocemente sulle modalità di applicazione" e "di accelerare il calendario". La Germania è favorevole. L'auspicio di inserirla a livello mondiale non può essere realizzato adesso, ma l'obiettivo di Berlino è che la tassa sulle transazioni finanziarie sia imposta nell'Europa a 27. L'Italia, con il premier Mario Monti che ha rivisto la posizione del precedente governo Berlusconi, invita a considerarla esclusivamente in una prospettiva europea, senza decisioni unilaterali. La Gran Bretagna, invece, è fermamente contraria. "Una tassa solo europea ci costerebbe posti di lavoro e gettito fiscale, sarebbe nefasta per tutto il continente da cui vedremmo andarsene moltissime aziende finanziarie" ha avvertito Cameron, intervistato dalla Bbc. E ha aggiunto: "Io mi opporrò, a meno che il resto del mondo decida in tempi brevi di adottare una tassa simile".

Post omofobo su Facebook contro Vendola E' bufera sull'assessore al traffico di Lecce

Bari, 8 gen. - (Adnkronos) - E' polemica dopo un messaggio postato su Facebook dall'assessore alla Mobilità e al Traffico del comune di Lecce, Giuseppe Ripa, in cui scrive che "in natura esistono solo due tipi di generi umani: l'uomo e la donna. Il resto viene classificato scientificamente come turbe della psiche, patologia che rientra nelle competenze della scienza sanitaria in generale e della psicanalisi in particolare. Tutto il mio rispetto per il diverso!!! ma non si può passare un'anormalità per normalità perché di questo andazzo sta morendo la nostra società".
Tutto riferito al presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Parole che, come raccontano alcuni quotidiani locali, hanno subito scatenato reazioni e polemiche che hanno portato anche il primo cittadino di Lecce, Paolo Perrone ad intervenire. "Per maggiore chiarezza - scrive Perrone sul socialnetwork - per evitare equivoci e per non dare più adito a strumentalizzazioni nei miei confronti, mi preme riportarvi quanto scritto da me nella discussione di ieri sera. Ribadisco la mia totale e ferma condanna nei confronti delle dichiarazioni dell'assessore Ripa, che riguardano la sfera personale delle persone, non certamente le idee politiche. Mi scuso io a tuo nome per quello che hai detto sul presidente Vendola, che noi contrastiamo a livello politico non condividendo le sue idee, ma non certamente per le sue scelte di carattere personale. Mi scuso anche con tutti coloro che si sono sentiti offesi da queste affermazioni che, ripeto, non condivido in nessun modo".
Ma le scuse del sindaco non sono bastate a frenare la polemica. ''Gli omofobi non possono rivestire incarichi pubblici'', è la protesta di Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center.
A chiedere le dimissioni di Ripa è anche l'Arcigay. ''Nessuna giustificazione - dichiara in una nota il presidente nazionale dell'associazione Paolo Patanè - è pensabile: chi esercita funzioni pubbliche non può abusare di un ruolo, retribuito con i soldi pubblici, compresi quelli di omosessuali e donne, tutti platealmente insultati dal signor Ripa, per farne una tribuna di odio e discriminazione". Arcigay chiede quindi ''le scuse pubbliche e le immediate dimissioni da qualunque incarico del signor Ripa. Siamo certi che Lecce meriti ben altra rappresentanza''.
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http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Post-omofobo-su-Facebook-contro-Vendola-E-bufera-sullassessore-al-traffico-di-Lecce_312834081632.html

DELOCALIZZARE ...


La strategia degli Stati Uniti sulla Difesa: Obama sempre più somigliante a Bush prima dell'11/9

Barack Obama e George W. Bush a New York lo scorso settembre durante la commemorazione dell'attentato alle Torri Gemelle (Ansa)
A guardarla da vicino la Defense Strategic Review presentata da Barack Obama e dal numero uno del Pentagono Leon Panetta riporta gli Stati Uniti indietro di undici anni assomigliando molto all'indirizzo strategico presentato all'inizio del 2001 dall'Amministrazione di George W. Bush appena insediatasi alla Casa Bianca nove mesi prima dell'attacco di al-Qaeda al cuore degli Stati Uniti. Obama ha indicato la via del ridimensionamento degli impegni oltremare con il ritiro completato dall'Iraq e quello, già avviato, dall'Afghanistan. 
 Proprio come Bush e il segretario alla Difesa dell'epoca, Donald Rusmfeld, che vararono il ritiro dei 12 mila soldati statunitensi schierati nei Balcani e annunciarono quello del migliaio di militari dislocati in Sinai nel nome di una strategia che prevedeva il disimpegno dalle missioni di pace e stabilizzazione (da lasciare agli europei) mentre l'America avrebbe dovuto impegnarsi in conflitti e operazioni strettamente legati agli interessi nazionali. 
Obama, come dieci anni or sono Bush, intende ridurre la presenza militare in Europa per potenziare il fronte del Pacifico e tenere testa al riarmo cinese. Nella primavera 2001 Bush e Rumsfeld annunciarono che avrebbero fornito a Taiwan le armi negate dall'Amministrazione Clinton aiutando gli alleati asiatici a contenere l'espansionismo di Pechino e la minaccia nordcoreana. 
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http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-01-07/strategia-obama-come-bush-191110.shtml?uuid=AaeRNibE

Perché la Tobin Tax spaventa i mercati. Focus sulla tassa finanziaria chiusa nei cassetti da 40 anni

Il 2012 è iniziato con il peso dei problemi irrisolti nel 2011, acuiti da spread medi sui titoli di Stato più corposi per tutti i Paesi dell'area euro, triple A incluse. Così, torna di prepotente attualità il tema della Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie ideata nel 1972 dall'economista James Tobin, premio Nobel, in passato professore del premier Mario Monti. L'economista aveva immaginato l'applicazione di un'aliquota tra lo 0,1% e l'1% sulle transazioni in valuta straniera con il triplice l'obiettivo di frenare la speculazione, stabilizzare i mercati e raccogliere nuove risorse utili per obiettivi globali. Passi in tal senso sono stati già fatti qualche mese fa. A fine settembre la Commissione europea ha presentato una proposta di introduzione della Tobin tax nell'Eurozona a partire dal 2014 indicando che porterebbe alle casse europee circa 55 miliardi di euro l'anno. Secondo l'impostazione originaria, applicando a livello globale un'aliquota dello 0,1% la tassa garantirebbe di Vito Lops -
Leggi tutto:
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-01-07/perche-tobin-spaventa-mercati-131508.shtml?uuid=Aa7XecbE

Nel silenzio assoluto il governo ha abolito il censimento delle armi



Che le lobby delle armi - che negli USA sono molto influenti - stiano cercando di estendere il loro mercato all'Europa, lo avevamo annunciato anche nel nostro editoriale del 12 Novembre, dove ci siamo spinti a prevedere che nei prossimi anni, con l'aumento della criminalità che si registrerà sicuramente "grazie" a queste politiche scellerate che impoveriscono i cittadini, sarà facilitata  anche da noi la vendita delle armi,  con la scusa di "dare la possibilità ai cittadini di difendersi", su modello americano. Una previsione abbastanza facile, se consideriamo che le lobby delle armi sono legate a doppio filo ai poteri massonici che si stanno impadronendo dell'Europa. Un mese fa, nell'assoluto silenzio di tutti i politici e di tutti i mass media (come sempre quando le leggi approvate sono scomode, ma nessuno se la sente di contrastarle perché volute dai poteri forti) il primo passo in questa direzione è stato fatto... 

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Dopo il duplice omicidio di padre e figlia nella Capitale, il sindaco Alemanno lancia l'allarme: "Troppe pistole in giro". Ma dalla manovra salva-Italia spunta un articolo che abolisce il catalogo nazionale delle armi che da 36 anni garantiva il controllo sulla diffusione

La rapina finita nel sangue due giorni fa a Romala follia omicida di metà dicembre a Firenzeriportano in primo piano il tema della licenze per il porto d’armi. Il motivo è semplice: giusto un mese prima di questi episodi, senza troppa pubblicità, il Parlamento ha cancellato con un tratto di penna il “catalogo nazionale delle armi comuni da sparo” cioé lo strumento che negli ultimi 36 anni della Repubblica ha garantito un controllo sul rilascio e la detenzione delle armi ammesse a circolare sul territorio italiano. Con il comma 7 dell’articolo 4 della legge (n. 183 del 12 novembre 2011) è stato abrogato l’articolo 7 della legge 18 aprile 1975, recante le “norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi” istituito presso il ministero dell’Interno.

Quasi un atto amministrativo cui sono seguite polemiche ma sul quale il governo non ha fatto marcia indietro, considerando le critiche di alcuni parlamentari frutto di un infondato allarmismo. Tre giorni dopo, infatti, un gruppo di parlamentari del Pd ha presentato un disegno di legge che chiedeva il ripristino d’urgenza del catalogo e definiva quella scelta “inopinata e sconsiderata” per gli effetti che avrebbe avuto sulla sicurezza dei cittadini. Parole quasi profetiche. Un mese dopo, con una magnum Gianluca Casseri in piazza Dalmazia e poi nel mercato di Borgo Sal Lorenzo a Firenze uccideva ambulanti senegalesi come in un videogioco. E due sere fa, a Tor Pignattara, la sparatoria in cui vengono uccisi un cinese e la sua bimba di nove mesi. Stragi a mano armata che oggi riportano l’abolizione del pubblico registro delle armi al centro del dibattito e ovviamente chi l’ha caldeggiata nel mirino delle polemiche.

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http://www.nocensura.com/2012/01/nel-silenzio-assoluto-il-governo-ha.html

Germania: 2 feriti durante la protesta 'con le scarpe' contro Wulff


Germania: 2 feriti durante la protesta 'con le scarpe' contro Wulff
BERLINO - Brandendo scarpe in segno di protesta un gruppo di circa 300 persone ha manifestato ieri a Berlino davanti alla residenza presidenziale tedesca, il palazzo Bellevue, per contestare il presidente Christian Wulff.BERLINO - Brandendo scarpe in segno di protesta un gruppo di circa 300 persone ha manifestato ieri a Berlino davanti alla residenza presidenziale tedesca, il palazzo Bellevue, per contestare il presidente Christian Wulff - da settimane ormai al centro di polemiche e critiche per un credito agevolato ottenuto da una coppia di amici imprenditori quando era premier della Bassa Sassonia - e chiederne le dimissioni. Due persone, un agente e un manifestante, sono rimaste ferite durante la protesta quando un gruppo di dimostranti ha cercato di avvicinarsi alla residenza del presidente Christian Wulff.

Israele minaccia vendetta a hacker saudita


Israele minaccia vendetta a hacker saudita
TELAVIV - Il vice ministro degli Esteri israeliano Danny Ayalon ha minacciato la rappresaglia per vendicare la pubblicazione sul web di decine di migliaia di carte di credito di israeliani per mano di un hacker saudita.
"Israele e' in grado di colpire chiunque ... nessuno puo' fuggire dalle nostra vendetta", ha aggiunto.
Secondo ha reso noto l'amministratore delegato della piu' importante societa' di carte di credito israeliana, un misterioso hacker ha diffuso in rete i dati relativi a migliaia di carte di credito israeliane dopo un'incursione in alcuni siti web. Dov Kotler, AD di Isracard, che dipende dalla banca Hapoalim , ha annunciato in un comunicato che un file contenente i numeri di 40mila carte di credito israeliane e' comparso su Internet, ma secondo la societa' la maggior parte dei dati sarebbero non corretti o non piu' validi. Secondo i media israeliani dietro l'operazione ci sarebbe un gruppo di hacker sauditi. Kotler ha detto che solo i dati relativi a 14mila carte sono validi, tra cui 6.600 emesse dalla sua societa'. Complessivamente, secondo Kotler, sono in uso attualmente circa 7 milioni di carte di credito.
Intanto, la vera identita' del Lupin virtuale, che si fa chiamare Omar, resta sconosciuta. Su di lui si sa solamente quello che lui stesso ha raccontato: ma potrebbe anche trattarsi di vari individui, riuniti sotto un unico pseudonimo. Come ha annunciato lo stesso Omar i dati pubblicati finora sarebbero solo una piccola parte di un database ben più consistente. "Come regalo per il nuovo anno – ha fatto sapere Omar – abbiamo deciso di pubblicare le informazioni personali di 400mila israeliani. Qual è il nostro divertimento? Vedere 400mila israeliani fare la fila davanti alla porta delle loro banche e lamentarsi per le carte di credito rubate. Vedere le banche distruggere centinaia di migliaia di carte e doverle sostituire. Vedere che le carte israeliane sono guardate con sospetto nel resto del mondo, come le carte nigeriane".

Ahmadinejad inizia suo viaggio in America latina


Ahmadinejad inizia suo viaggio in America latina
TEHERAN - Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha iniziato una serie di visite nei paesi dell'America Latina. La sua prima tappa e’ la Venezuela e si recherà nel corso del suo tour a Cuba, in Nicaragua e in Ecuador. Il suo viaggio straordinario, il sesto nella regione, includerà anche il Brasile. Il viaggio del Presidente iraniano non è stato visto di buon occhio da Washington. "l’Iran sta cercando di fare amicizia e di visitare luoghi interessanti per trovare nuovi alleati", ha dichiarato Victoria Nuland, portavoce del Segretario di Stato Usa, aggiungendo che gli Stati Uniti stanno facendo pressioni su paesi del mondo sopratutto quelli latinoamericani affinche' non approfondissero i legami politici, di sicurezza o economici, con l'Iran".
L’Iran ha già investimenti e accordi commerciali con alcuni paesi dell’America latina e ora cerca di approfondirli, con una mossa che viene letta come una sfida diretta agli Stati Uniti. L’Iran ha interessi nel settore minerario in Ecuador e in ambito petrolchimico in Venezuela, dove ha anche investito nel campo militare. I legami economici tra il Venezuela e l'Iran hanno raggiunto in pochi anni il valore di circa 30.000 milioni di dollari, mentre quelli con la Bolivia hanno superato i 1.000 milioni di dollari. L'Iran ha anche firmato importanti accordi con i minatori in Ecuador. La visita di Ahmadinejad, tuttavia, era prevista per lo scorso settembre, ma era stata sospesa a causa della malattia del presidente venezuelano Chavez, a cui è stato diagnosticato un cancro nel mese di giugno

Iran: pronti a reagire a nuove sanzioni dall'Ue


Iran: pronti a reagire a nuove sanzioni dall'Ue
TEHERAN  - "Siamo pronti a reagire in modo adeguato alle eventuali sanzioni dell'Unione europea contro le nostre esportazioni petrolifere". Lo ha detto Alaoddin Borujerdi, presidente della Commissione parlamentare per la Sicurezza Nazionale del Majlis (parlamento iraniano), in un'intervista al sito Nasimonline. Borujerdi ha spiegato che "l'Iran ha diverse potenzialita' politiche ed economiche e se, i paesi europei dovessero adottare sanzioni sul petrolio, dovranno anche prepararsi ad affrontare le conseguenze delle loro scelte". "Perche' - ha proseguito Borujerdi - Teheran e' in grado di mettere in difficolta' i paesi occidentali". Il presidente della Commissione Sicurezza Nazionale ha poi aggiunto: "Gli europei stanno commettendo un errore, queste misure non fanno altro che inasprire la situazione e non fermeranno lo sviluppo del nostro programma nucleare".
Infatti l’Unione europea sta per decidere di approvare il divieto posto dagli Stati Uniti contro le esportazioni petrolifere iraniane ma per gli europei i tempi per l'applicazione pratica potrebbero essere molto piu' "elastici". Infatti, Bruxelles sta valutando di annettere al divieto un “periodo di transizione” per completare i contratti gia' in essere e per tenere conto delle difficolta' di alcuni paesi europei, che dipendono in modo massiccio dal greggio iraniano. L’Ue e' il secondo mercato di sbocco del petrolio iraniano (dopo la Cina, con il 22 per cento) con il 18 per cento del totale. Alcuni paesi dell'Ue importano dall'Iran quantitativi considerevoli del greggio. La prima della lista e' la Grecia, che si affida all’Iran per il 25 per cento dei suoi consumi petroliferi. Al secondo posto, c’e' l’Italia (13 per cento) e al terzo la Spagna (10 per cento).

Non studiano né lavorano: i Neet, un esercito di rassegnati


Sono il 28,8% dei giovani tra i 25 e i 30 anni. Non cercano lavoro, non si formano. Attendono. Mentre l'Istat lancia l'allarme
Neet e1325707161429 Non studiano né lavorano: i Neet, un esercito di rassegnatiNon lavorano, né studiano. Ai confini del mercato occupazionale ci sono i NEET (Not in Education, Employment or Training). Si tratta di giovani senza occupazione che non vanno all’Università né seguono corsi di formazione, né tanto meno cercano un impiego. Rassegnati a farsi mantenere dai genitori. Nel 2010 erano 2,2 milioni ma questa cifra sta conoscendo una preoccupante crescita. L’esercito dei NEET o dei néné (in italiano) è costituito da ragazzi tra i 16 ed i 29 anni che sono rimasti incastrati nel vicolo cieco della crisi. Mentre l’Istat lancia l’allarme: tra gli under 25 la disoccupazione è del 30,1%.
Non cercare più un lavoro. Costretti a pesare ancora sui proprio genitori, sono persone che non hanno titoli di studio sufficienti o che al contrario hanno finito di studiare, pronte ad inserirsi nel mercato del lavoro ma che non riescono a farlo perché i loro requisiti non corrispondono a quelli richiesti dalle aziende. Ragazzi che non vanno né avanti né indietro ma galleggiano in un mortificante limbo con quella pesante sensazione di “non saper far nulla”. Il risultato è che in molti si arrendono alla disoccupazione. Rinunciano a cercare.
NEET, un fenomeno in forte crescita. I dati del rapporto di Bankitalia sull’economia delle regioni italiane mostra una preoccupante crescita evidenziando un allarmante fenomeno che sta interessando l’intera Europa e che sembra  acuirsi in particolare nella fascia dei 25-30 anni. I ragazzi di questa età costituiscono il 28,8% della popolazione totale. Il Sud si contraddistingue per l’alto numero di NEET con un livello di istruzione basso. Ma questa volta si fa notare anche il Trentino Alto Adige con una percentuale di inattivi superiore alla media nazionale ossia pari al 60% e con un 39% ancora alla ricerca di un lavoro. Vittime di questa frustrante situazione sono soprattutto le donne.  Il 72% si arrende di fronte alle difficoltà nel trovare un’occupazione. Ma l’intero Paese si classifica al secondo posto in Europa  per l’alto numero di “nullafacenti scoraggiati” (24,2%)  battuto solo dalla Bulgaria (27,8%). A spaventare è il divario con Paesi virtuosi come il Lussemburgo o i Paesi Bassi che invece si caratterizzano per una percentuale inferiore al 7%.
Uno spreco di risorse. L’eterogeneo popolo dei NEET costituisce forza lavoro sprecata, che in circostanze economiche come quelle che sta attraversando l’Italia sarebbe fondamentale per uscire dalla crisi ma che invece viene lasciata da parte per favorire e tutelare ancora una volta chi un’occupazione ce la già. In Italia i più anziani continuano ad avere la precedenza sui giovani che vanno ad ingrossare le file di disoccupati. Un peso sociale, prima ancora che economico, che rischia di avere ricadute nel lungo periodo.

Ordini professionali. La guerra delle corporazioni al governo Monti


Ordini professionali. La guerra delle corporazioni al governo Monti
Producono il 15% della ricchezza nazionale e occupano quattro milioni di persone (il 16% dell’occupazione complessiva). Eppure soffrono di contraddizioni insanabili: la maggior parte degli iscritti in molti ordini non svolge la professione
Mario Monti non sembra voler mollare. I duri anni passati a Bruxelles a domare monopolisti potentissimi come Bill Gates, con risultati brillanti, forse lo fanno l’uomo più adatto fra i molti di paglia che, in Italia, hanno cercato di sconfiggere il vero “potere forte” da sempre esistente nel nostro Paese: quello degli ordini professionali.
Ma il numero dei parlamentari che sono iscritti alle corporazioni dovrebbe scoraggiarlo. Nelle due Camere, infatti, risiedono e svolgono puntigliosamente il loro lavoro a favore della propria cricca ben 133 avvocati (il gruppo più numeroso), 53 medici, 23 commercialisti, 13 architetti, 90 giornalisti. Persone disposte a barricarsi nell’Aula pur di difendere la sopravvivenza del proprio ordine professionale, compresi quei giornalisti che un giorno sì e  l’altro pure sparano alzo zero contro i privilegi della casta e la scarsa mobilità sociale.
Proprio la categoria dei giornalisti è significativa delle enormi contraddizioni di questo Paese. Nonostante l’esistenza di una norma della Costituzione (articolo 21) che sancisce la libertà di manifestazione del pensiero, la legge sulla stampa (emanata addirittura nel 1948), un residuato post-bellico che ancora nessuno ha avuto il coraggio di sostituire con regole più adatte ai tempi, nell’era del predominio del web, obbliga chiunque voglia aprire e gestire un periodico o un quotidiano ad assoldare un iscritto all’ordine dei giornalisti come direttore responsabile. Oggettivamente, una limitazione contrarissima all’articolo 21, perché il giornalista deve essere retribuito e ciò è una barriera all’entrata per la libertà di pensiero. Ma la giustificazione dei difensori dell’ordine dei giornalisti è ancora più incredibile: il direttore responsabile assicura la veridicità “professionale” delle notizie e soprattutto è necessario quando si commettono reati con il mezzo della stampa. A parte che l’iscrizione alla corporazione non ha mai impedito a molti giornalisti di raccontare scientemente il falso per conto perfino dei servizi segreti (si pensi alla vicenda di Renato Farina, un giornalista poi diventato deputato berlusconiano, espulso dall’Ordine per aver diffuso dossier falsi contro Prodi e il centro-sinistra), si potrebbe benissimo attribuire la responsabilità per i reati di stampa (diffamazione aggravata, diffusione di notizie false e tendenziose, ecc.) all’autore dell’articolo e al direttore responsabile senza che quest’ultimo sia iscritto ad una qualsiasi corporazione (uno dei pochi casi di “responsabilità oggettiva” in campo penale).
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I patrimoni italiani in poche mani quasi la metà al 10% delle famiglie


Come sono distribuiti immobili e titoli. In media in portafoglio 1,6 milioni, 22 volte di più dei ceti popolari. Le abitazioni continuano a fare la parte del leone con un valore di 5 miliardi di euro. Negli ultimi anni è affondata la classe media e sono cresciute le proprietà di imprenditori e commercianti. I cittadini hanno tra risparmi e ricchezza 8.600 miliardi, pari a quattro volte il debito pubblico

di MAURIZIO RICCI
Tosate i ricchi!. Con le pensioni, l'appello ad una severa imposta patrimoniale è stato uno dei temi più dibattuti in questi mesi, suscitando passioni che sembravano scomparse dalla scena politica, fino a indurre anche parecchie vittime potenziali della tassa a rivendicarne l'attuazione. 

La crisi ha, infatti, messo a nudo un rancore crescente verso l'ineguaglianza sociale e verso il paradosso che vede l'Italia come uno dei paesi più ricchi del mondo, senza che questo venga riconosciuto nell'esperienza quotidiana. Un paese ricco, abitato da poveri, si è detto. Per sciogliere il paradosso, bisogna rispondere a due domande. Quanti sono i ricchi, in Italia? E quanto sono ricchi? 

PORTAFOGLIO GONFIO

La risposta è che una delle duecentomila famiglie di straricchi, in Italia, ha, in media, un patrimonio che vale 65 volte quello di cui dispone una qualsiasi della maggioranza delle famiglie italiane. In termini statistici complessivi, non sembra una gran novità: l'Italia era un paese più egualitario negli anni '70 e '80, ma, dai primi anni '90, è andata avvicinandosi agli squilibri sociali tipici di paesi come Usa e Gran Bretagna. Negli ultimi vent'anni, tuttavia, la situazione è rimasta, più o meno, stabile. Questo, però, è uno dei tanti miraggi delle statistiche. Due fattori hanno profondamente modificato, in quantità e qualità, la piramide sociale italiana. Il primo è che, avvertono gli studi della Banca d'Italia, si è aperta una spaccatura verticale: un travaso progressivo di ricchezza, dai lavoratori dipendenti agli autonomi: imprenditori, liberi professionisti, commercianti. Il secondo è il lungo ristagno dei redditi, che ha svuotato e affondato i ceti medi. Quando si sono accorti di non essere affatto sulla strada per diventare ricchi, anche nei ceti medi si è risvegliata l'insofferenza verso gli squilibri sociali.

QUATTRO VOLTE IL DEBITO

Secondo le indagini della Banca d'Italia, la ricchezza netta degli italiani (tolti, cioè, mutui e prestiti) era pari, nel 2010, a 8.640 miliardi di euro. Una cifra imponente, pari ad oltre quattro volte la montagna del debito pubblico. In media, significa una ricchezza di poco inferiore a 400 mila euro, per ognuna dei 24 milioni di famiglie italiane. Ma, naturalmente, quei 400 mila euro sono il consueto miraggio statistico. Il 50 per cento delle famiglie italiane possiede, infatti, dice sempre Via Nazionale, meno del 10 per cento di tutta quella ricchezza. Ovvero, 12 milioni di famiglie si spartiscono, in realtà, un patrimonio di non più di 860 miliardi di euro. Questi 12 milioni di famiglie più povere costituiscono quelli che i sociologi di una volta avrebbero definito ceti popolari. Un termine che, con il progressivo svanire di operai e contadini, è diventato sempre più sfuggente e che, oggi, probabilmente, comprende soprattutto impiegati, insegnanti e la massa dei precari. In media, la ricchezza di ognuna di queste famiglie è di 72 mila euro in tutto, al netto di mutui e prestiti, ma casa e risparmi compresi.

L'altra metà degli italiani ha, invece, le mani su quasi 8 mila miliardi di euro. Ma non è così che va vista la divisione della torta. Al di sopra dei ceti popolari e dei ceti medi in via di affondamento ci sono, elaborando i dati della Banca d'Italia, quelli che possiamo chiamare ceti medi benestanti. Circa 9 milioni 600 mila famiglie, il 40 per cento del totale, che controlla il 45 per cento della ricchezza italiana: 3 miliardi 880 milioni di euro. In media, ognuna di queste famiglie benestanti ha un patrimonio, fra case e investimenti finanziari, pari a 405 mila euro.
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http://www.repubblica.it/economia/2012/01/08/news/i_patrimoni_italiani_in_poche_mani_quasi_la_met_al_10_delle_famiglie-27751433/

Italia, il lavoro si cerca tramite un intermediario



Il 76,9 % chiede aiuto a amici, parenti o sindacati. In Europa la media è del 68,9 %. La diffusione di curriculum invece è tra le più basse (63,9 %). Solo il 31,4 % infine, fa affidamento sugli annunci che compaiono sulla stampa o sul Web

ROMA - In Italia oltre due persone su tre in cerca di lavoro si affidano a un'intermediario che può essere un parente o anche un sindacato. Ricorrere a chi si conosce già è, così, la prima strada che si percorre per trovare un posto.

A certificare le "usanze" degli italiani a caccia di un impiego è Eurostat nel rapporto 'Methods used for seeking work', secondo dati aggiornati al secondo trimestre del 2011.

Nella Penisola chi bussa alle porte di amici, parenti o sindacati è, infatti, pari al 76,9%, una quota superiore alla media dell'area euro (68,9%), a quella dell'Unione europea nel complesso (69,1%) e soprattutto circa doppia a confronto con quella di Paesi come Germania (40,2%), Belgio (36,8%), Finlandia (34,8%). Anche se nel Vecchio continente c'è chi fa peggio, è il caso della Grecia (92,2%), ma pure di Irlanda e Spagna.

Nell'Unione europea, inoltre, si fa molta pubblicità del proprio curriculum, del proprio percorso di studi, (68,8% Ue 17 e 71,5% Ue 27), una modalità che viene anche seguita in Italia ma con una percentuale inferiore (63,9%), tra le più basse, in particolare a confronto con Irlanda e Slovenia, dove quello che Eurostat definisce come lo Study advertisement è praticato da più di nove persone su dieci in cerca di lavoro.

L'Italia risulta anche tra i Paesi che meno fanno affidamento agli annunci di lavoro che compaiono sulla stampa o sul web, con solo il 31,4% che si rende disponibile a una precisa prestazione o risponde a un'offerta di impiego. Insomma, gli italiani credono poco nei contatti a distanza e privilegiano di gran lunga gli approcci diretti e informali. Non a caso è anche al di sotto dei valori medi europei la quota di coloro che si rivolgono ad operatori istituzionali, come i centri pubblici per l'impiego (31,9%), addirittura l'Italia è penultima nell'eurozona, alle spalle solo di Cipro, con una forte distanza dalla Germania (82,8%). Un discorso simile vale per i centri privati di impiego, come possono essere le agenzie del lavoro.

In generale, in tutta Europa chi contatta soggetti privati per essere assunto è una minoranza, ma in Italia la fetta è ancora più risicata (18,0%).

Tornando alle preferenze degli italiani, la seconda via scelta per trovare un'occupazione consiste nel chiedere direttamente al datore di lavoro; sempre secondo le tabelle di Eurostat oltre sei persone su dieci in cerca si rivolge al principale. Molto probabilmente si tratta di una modalità favorita dalla struttura produttiva del Paese, con tantissime piccole e medie aziende, dove, quindi, è più facile entrare in rapporto con i 'capi'.

«Un decreto al mese per liberalizzare Tasse? No, capitolo chiuso»


Passera: crescita, abbiamo un piano. Sul commercio le prime aperture. Ora gas, energia, trasporti e professioni

ROMA - «Da due mesi a oggi, un grande effetto c'è già stato: un forte recupero di credibilità e di fiducia, che anche l'altro giorno a Parigi si percepiva con chiarezza. Credibilità conquistata sul campo dal presidente del Consiglio e dall'intero Paese. Riforme coraggiose che aspettavano da tempo, come quella delle pensioni, che il governo ha proposto, il Parlamento ha approvato in tempo record e la gente ha accolto con una reazione molto composta». 

Ministro Passera, eppure la situazione resta difficile. E lo spread oltre quota 500. 
«È vero, l'emergenza non è finita. Il peggio è passato: abbiamo corso davvero il rischio della Grecia, del disastro. Non siamo ancora fuori dal tunnel. Però un progetto di rilancio del Paese è stato avviato con determinazione. Ogni ministero ha il suo compito da svolgere. Si lavora bene insieme, e questo accelera e rende più efficace il lavoro di tutti. Abbiamo un piano per la crescita. Per liberalizzare e favorire i consumatori. Per sostenere le imprese. Per investire nell'istruzione, nella ricerca, nella giustizia. L'Italia ha fatto e farà la sua parte. Serve però che la faccia anche l'Europa. A cominciare dalla Germania».
CONTINUA ...