domenica 8 gennaio 2012

Ordini professionali. La guerra delle corporazioni al governo Monti


Ordini professionali. La guerra delle corporazioni al governo Monti
Producono il 15% della ricchezza nazionale e occupano quattro milioni di persone (il 16% dell’occupazione complessiva). Eppure soffrono di contraddizioni insanabili: la maggior parte degli iscritti in molti ordini non svolge la professione
Mario Monti non sembra voler mollare. I duri anni passati a Bruxelles a domare monopolisti potentissimi come Bill Gates, con risultati brillanti, forse lo fanno l’uomo più adatto fra i molti di paglia che, in Italia, hanno cercato di sconfiggere il vero “potere forte” da sempre esistente nel nostro Paese: quello degli ordini professionali.
Ma il numero dei parlamentari che sono iscritti alle corporazioni dovrebbe scoraggiarlo. Nelle due Camere, infatti, risiedono e svolgono puntigliosamente il loro lavoro a favore della propria cricca ben 133 avvocati (il gruppo più numeroso), 53 medici, 23 commercialisti, 13 architetti, 90 giornalisti. Persone disposte a barricarsi nell’Aula pur di difendere la sopravvivenza del proprio ordine professionale, compresi quei giornalisti che un giorno sì e  l’altro pure sparano alzo zero contro i privilegi della casta e la scarsa mobilità sociale.
Proprio la categoria dei giornalisti è significativa delle enormi contraddizioni di questo Paese. Nonostante l’esistenza di una norma della Costituzione (articolo 21) che sancisce la libertà di manifestazione del pensiero, la legge sulla stampa (emanata addirittura nel 1948), un residuato post-bellico che ancora nessuno ha avuto il coraggio di sostituire con regole più adatte ai tempi, nell’era del predominio del web, obbliga chiunque voglia aprire e gestire un periodico o un quotidiano ad assoldare un iscritto all’ordine dei giornalisti come direttore responsabile. Oggettivamente, una limitazione contrarissima all’articolo 21, perché il giornalista deve essere retribuito e ciò è una barriera all’entrata per la libertà di pensiero. Ma la giustificazione dei difensori dell’ordine dei giornalisti è ancora più incredibile: il direttore responsabile assicura la veridicità “professionale” delle notizie e soprattutto è necessario quando si commettono reati con il mezzo della stampa. A parte che l’iscrizione alla corporazione non ha mai impedito a molti giornalisti di raccontare scientemente il falso per conto perfino dei servizi segreti (si pensi alla vicenda di Renato Farina, un giornalista poi diventato deputato berlusconiano, espulso dall’Ordine per aver diffuso dossier falsi contro Prodi e il centro-sinistra), si potrebbe benissimo attribuire la responsabilità per i reati di stampa (diffamazione aggravata, diffusione di notizie false e tendenziose, ecc.) all’autore dell’articolo e al direttore responsabile senza che quest’ultimo sia iscritto ad una qualsiasi corporazione (uno dei pochi casi di “responsabilità oggettiva” in campo penale).
Continua ...

Nessun commento:

Posta un commento