domenica 20 febbraio 2011

Berlusconi indagato in Montenegro per accordi segreti

Berlusconi indagato in Montenegro per accordi segreti

Il partito d’opposizione del Montenegro Pokret za promjene (PZP) ha sporto denuncia presso la Corte Suprema di della capitale Potgorica,contro l'ex primo ministro Milo Djukanovic e contro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Le motivazioni sono "Aver inflitto danni incommensurabili al settore energetico del Montenegro e provocando danni enormi al popolo montenegrino con accordi segreti". Djukanovic si è dimesso da primo ministro a dicembre dopo essere stato alla guida del paese per circa vent'anni.

Il partito montenegrino contesta sugli accordi presi, negli ultimi anni, tra il governo italiano e montenegrino e reputa che alle spalle via sia un piano volto a rendre lo stato slavo dipendente da altri stati in comparto nevralgico come quello dell'energia. Le aziende coinvolte sono la A2A e Terna. La prima vinse un appalto per la costruzione di quattro centrali elettriche entrando con il 40% nel capitale della società Epcg, impegnata nella distribizione dell'energie, mentre Terna avrebbe un pacchetto di minoranza nella società Cges con la quale avrebbe istituito un accordo di collaborazione per realizzare un cavo di trasmissione energetica che attraverserà l'Adriatico, da Tivat a Pescara, (conseguenze che gli ambientalisti denunciano come un disastro per il parco nazionale della Maiella in Abruzzo).

I costi dell'operazione si aggirano intorno ai 700 milioni di euro per 415 chilometri di cavo. I contenuti dell'accordo sono stati tenuti segreti dalle autorità del Montenegro che dovrà, però, mostrarli al Consiglioeuropeo in quanto Stato canditato all'ingresso nell'Unione Europea.

Stupri correttivi in Sudafrica: la Chiesa tace

Stupri correttivi in Sudafrica: la Chiesa tace

di Martina Orlandi

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Avaaz.org è un’ organizzazione non-profit e indipendente che nelle ultime settimane ha indetto una petizione contro lo stupro correttivo, la pratica che prevede lo stupro di gruppo di donne lesbiche con l’obiettivo di curare la loro omosessualità. Lo stupro correttivo sta diventando una vera e propria emergenza in Sud Africa dove secondo Luleki Sizwe, un’organizzazione a sostegno delle vittime di stupro correttivo, ogni settimana, solo a Città del Capo, vengono violentate più di 10 lesbiche.

150 donne vengono violentate ogni giorno in Sudafrica e negli ultimi dieci anni 31 lesbiche sono state assassinate a causa della loro sessualità. Ogni anno 510 donne riferiscono di essere state vittime di stupro correttivo. Luleki Sizwe critica l’incuria delle forze dell’ordine sostenendo che i pochi casi di stupro correttivo che vengono denunciati ricevono dalla polizia una riposta penosa esentenze permissive. La prova di questo è il rilascio da parte delle autorità sudafricane di Andile Ngcoza che lo scorso anno ha violentato, picchiato e strangolato per cinque ore, senza ucciderla, Millicent Gaika. Ngcoza è stato rilasciato su una cauzione di 60 Rand, l’equivalente di meno di 10 dollari.

Se la polizia non fornisce appoggio a coloro che subiscono tali violenze, la Chiesa per contro non solo copre i crimini perpetrati alle lesbiche, ma anzi favorisce il preconcetto che l’omosessualità sia una malattia da debellare, per cui fra le esternazioni del presidente Zuma sull’inferiorità delle donne e degli omosessuali e l’omertà delle chiese, la situazione delle donne lesbiche diventa ogni giorno più difficile. Attualmente le donne lesbiche ugandesi sono punibili con la reclusione, purché colte in flagranza di reato, ma una nuova proposta di legge presentata in Parlamento prevede invece la pena di morte e la possibilità che la punizione sia comminata anche in assenza di flagranza, ma semplicemente su delazione dei conoscenti. La motivazione di tale crudeltà starebbe nel tentativo di ostacolare l’ascesa al potere degli omosessuali, i quali avrebbero l’intenzione di condurre il resto della popolazione verso l’omosessualità e di salire al potere attraverso la distruzione della famiglia tradizionale e la pratica dell’aborto.

Le Chiese Cristiane in Uganda organizzate nel Uganda Joint Christian Council si sono espresse fortemente a favore della legge. I leader religiosi si professano per definizione contrari alla pena di morte ed invitano a ridurre la pena capitale al carcere a vita. Tuttavia si trovano pienamente d’accordo con il punire gli omosessuali e identificare l’omosessualità come un peccato davanti a Dio e inaccettabile nella società. Gli esponenti delle Chiese cristiane sono quindi impegnati in una campagna contro chiunque protegga i gay e hanno apertamente criticato i governi occidentali che hanno espresso dissenso tra cui la Francia, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna e la Svezia che ha minacciato di sospendere gli aiuti economici, accusandoli di interferire con la sovranità dello stato.

Avaaz.org chiede al Presidente Zuma di condannare pubblicamente lo stupro correttivo, penalizzandolo come crimine d’odio. La petizione ha raggiunto nel febbraio 2011 ha superato le 600.000 firme e intende raggiungere le 750.000.

Chiunque sia interessato a far sentire la propria voce, può firmare qui.

Martina Orlandi

http://www.cronachelaiche.it/2011/02/stupri-correttivi-in-sudafrica-la-chiesa-tace/

Il talento nel DNA

Sanremo 2011

Pechino, protesta tra web e gelsomini Soffocate le prove di rivolta "tunisina"

Ispirati dalle ribellioni in Africa e Medio Oriente, nella capitale e altre città alcuni attivisti hanno lanciato i simbolici fiori come forma di protesta. Rapido l'intervento della polizia, sul territorio e con blocco di cellulari e web. Centinaia di arresti

PECHINO - Le rivolte in Nordafrica e Medio Oriente ispirano i giovani cinesi che provano a scendere in piazza contro il regime. E delle manifestazioni tunisine, i cinesi prendono in prestito i simboli, in questo caso il gelsomino. La tensione è arrivata fino a Wangfujing, la via dello shopping di Pechino a poca distanza da Piazza Tienanmen, con un assembramento e lancio di gelsomini. Un atto che segue un messaggio apparso sul web, che invitava alla protesta.
A Pechino i fiori di Tunisi. La dimostrazione è iniziata con una piccola folla composta inizialmente soprattutto da curiosi, giornalisti e forze dell'ordine in borghese. Ma tra la ressa era evidentemente presente un drappello di manifestanti organizzati, che hanno approfittato del momento migliore per lanciare alcuni mazzi di gelsomini bianchi dalla scalinata di un centro commerciale, sotto i flash e le telecamere dei media. Un comportamento che ha fatto scattare l'intervento di un massiccio spiegamento delle forze di polizia.
La reazione degli agenti è stata composta, immediata e decisa: i poliziotti già presenti sul posto sono stati raggiunti da diverse dozzine di colleghi, che hanno spinto la folla verso la strada tentando di disperderla, mentre altri agenti facevano sparire velocemente i fiori gettandoli nell'immondizia. La risposta delle forze dell'ordine è stata anche mediatica: per una decina di minuti le telecomunicazioni della zona sono state completamente oscurate, rendendo inutilizzabili i telefoni cellulari.
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Ruby, B. vuole rivolgersi alla Corte di Strasburgo

Intanto deve risolvere una causa contro di lui su monopolio e conflitto d'interessi nel settore televisivo italiano. A Maggio è prevista l'udienza del ricorso presentato da Open Europe. Prima di lui tentò Saddam Hussein.

A qualche giorno dall’annuncio del ministro degli Esteri Franco Frattini circa la possibilità che Berlusconi si rivolga alla Corte dei diritti dell’Uomo per vedere tutelata la propria privacy, a suo avviso minacciata dal caso Ruby e dalle indagini dei Pm di Milano, negli schedari della Corte di Strasburgo non risulta ancora niente. O meglio, un file aperto c’è, ma il Cavaliere è “imputato”.
Si tratta della causa depositata nel marzo 2010 dalla fondazione Open Society Institution per la posizione di monopolio che Berlusconi esercita nel settore televisivo italiano. La fondazione del miliardario liberal George Soros si era infatti rivolta all’Alta Corte “a seguito del controllo che egli (Silvio Berlusconi, ndr) esercita fuori dalla legalità sul sistema televisivo italiano, contrario agli standard democratici europei, una situazione inaccettabile per una democrazia”. La causa è ancora pendente e la prima udienza è fissata per il prossimo maggio. Una notizia che lo scorso marzo aveva fatto poco rumore, sia per la mancanza di novità sostanziale dell’informazione italiana – fotografata già come “semi libera” da associazioni come Freedom House e Reporters sans frontiers – che per il silenzio stampa di Mediaset e Palazzo Chigi il giorno dopo la denuncia.
La causa si basava sul monitoraggio condotto negli ultimi anni da diversi enti indipendenti internazionali sullo stato dell’informazione e del sistema televisivo in Italia. Tra gli altri, l’ormai annosa vicenda di Centro Europa 7, la rete televisiva che, pur avendo vinto nel 1999 una concessione di frequenze nazionale su tutto il territorio italiano, per 10 anni si è vista negare l’accesso alle frequenze. “Questo caso mette in luce il fallimento dei governi italiani nell’affrontare il monopolio e il conflitto d’interessi del sistema televisivo”, ha osservato James Goldstone, direttore internazionale di Open Society Justice Iniziative. “L’Italia ha il più alto tasso di concentrazione di proprietà delle televisioni in Europa e la mancanza di diversità ostacola il dibattito e limita l’accesso del pubblico all’informazione e all’analisi critica”.
Se Berlusconi intende davvero appellarsi alla Corte di Strasburgo, come detto da Frattini, dovrà prima affrontare la questione sollevata da Open Society. Ad ogni modo da Strasburgo ricordano che ci si può rivolgere alla Corte soltanto “dopo” un processo che si vuole contestare, e non “prima”. Quindi non ci sono scappatoie: il “cittadino” Silvio Berlusconi, irritato per l’invasione della propria privacy, dovrà passare prima dall’odiata Procura di Milano, e soltanto dopo prendere il treno per Strasburgo.
Berlusconi non sarebbe il primo Capo di stato a rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Lo fece anche Saddam Hussein con un ricorso contro i Paesi della coalizione che avevano attaccato l’Iraq, tra cui l’Italia. In quel caso gli andò male, visto che il ricorso venne giudicato “inammissibile”.

Libia in fiamme: centania di vittime, cresce protesta musulmana

Allarme in Bahrein, Yemen, Marocco, Algeria, Gibuti, Kuwait, Iran. Manifestazioni anche in Marocco

Roma, 20 feb. (TMNews) - Centinaia di vittime, oltre 200 nella sola Bengasi, nelle proteste che da giorni infiammano la Libia contro il regime di Muammar Gheddafi. Lo hanno riferito alcuni testimoni all'emittente panaraba al Jaazera, che riporta le testimonianze sul suo sito internet. Centinaia sarebbero, inoltre, le persone rimaste ferite negli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti. Il bilancio fornito dai testimoni di al Jazeera è superiore a quello di Human Rights Watch che, questa mattina, aveva riferito di almeno 104 vittime.

L'ondata di proteste popolari nata in Tunisia ed allargatasi all'Egitto sta continuando ad espandersi a macchia d'olio nel Medio Oriente e in Nordafrica. BAHREIN - In Bahrein, piccola monarchia del Golfo Persico, il principe ereditario del Bahrein, Salman bin Hamad Al-Khalifa, ha ordinato alla polizia di "allontanarsi dagli assembramenti" dei manifestanti che hanno iniziato ad allestire le tende in piazza della Perla, cuore della protesta a Manama. YEMEN - Scontri violenti hanno contrapposto manifestanti e sostenitori del regime intorno all'Università di San'a: uno studente è stato ucciso a colpi di arma da fuoco e altri cinque sono rimasti feriti. ALGERIA - Qui, dove il potere teme uno scenario di rivoluzione alla tunisina, circa 200 persone hanno manifestato ieri nel centro di Algeri, malgrado un importante dispositivo di polizia. MAROCCO - Alcune centinaia di persone hanno iniziato a radunarsi a Casablanca e Rabat per partecipare alle manifestazioni di protesta previste per oggi in molte città del paese al fine di richiedere una serie di riforme politiche ed una limitazione dei poteri del re. GIBUTI - Ieri, tre dei principali dirigenti dell'opposizione sono stati arrestati, all'indomani degli scontri tra la polizia e i manifestanti che hanno fatto almeno due vittime. IRAN - Il ministero degli Interni ha messo in guardia l'opposizione iraniana da ogni manifestazione "illegale" come quelle che sarebbero in programma per la giornata di oggi, minacciando di "agire secondo la legge contro i sediziosi e i responsabili della sedizione". KUWAIT - La polizia kuwaitiana ha sparato gas lacrimogeni ieri contro circa 300 manifestanti che reclamano diritti. Secondo quanto riferito dal quotidiano spagnolo El Pais, nella sua edizione online, si tratta di una parte dei circa 100mila apolidi.

La Russa e il pestaggio a Formigli: “E’ un provocatore, non un giornalista”

Il ministro della difesa, intervistato da Fabio Fazio, ci va giù duro. Poi chiede scusa all’inviato di Annozero

Ha derubricato le domande del giornalista Corrado Formigli a provocazione e non giornalismo,Ignazio La Russa, ministro della Difesa, intervistato da Fabio Faziodurante la trasmissione Che tempo che fa. “Formigli non faceva giornalismo ma pura provocazione – ha detto La Russa, riguardo alle domande poste dall’inviato di Annozero a margine della manifestazione di GiulianoFerrara la settimana scorsa aMilano – e una volta su dieci uno non ha voglia di essere provocato. Se guarda le immagini non ho mai detto che mi desse pedate e quando lui spingeva con le ginocchia è possibile che io gli abbia pestato forte un callo. Oddio come mi dispiace”.

LE SCUSE DI LA RUSSA – Il ministro, ha detto che è la prima volta che risponde a domande sulla vicenda di Formigli. “Lo faccio con lei – ha detto La Russa a Fazio – perche’ mi sta simpatico”. Il presentatore gli ha risposto con una battuta: “anche perche’ – lo ha interrotto – sono protetto dalla scrivania e non mi può succedere niente di male”. La Russa si è comunque giustificato dicendo che ha chiesto scusa al giornalista subito dopo. “Glielo ridico adesso ma fare un dramma per uno che fa il provocatore invece che il giornalista credo sia una grande esagerazione”. Poi si rivolge direttamente all’inviato della trasmissione di Santoro: “Formigli quando vuoi venire a farmi un’intervista vieni, ma mettiti davanti”.

Carneficina in Libia, centinaia di morti L'esercito spara razzi sulla folla

Un edificio pubblico in fiamme ad Al Bayda

Tripoli minaccia la Ue: stop a cooperazione su immigrazione. Arrestati “agitatori arabi”. Internet ancora oscurato.

ROMA - La repressione di Muammar Gheddafi si abbatte sulla Cirenaica in rivolta, soprattutto a Bengasi, dove fonti mediche citate da Al Jazira hanno denunciato una «spaventosa carneficina». Si parla di 285 morti nella sola Bengasi.
L'esercito sta sparando razzi Rpg sui manifestanti a Bengasi, riferisce una testimone ad Al Jazeera, aggiungendo che le forze dell'ordine stanno utilizzando proiettili urticanti per disperdere la manifestazioni. Secondo un attivista, Mohamed Nabus, sono 258 i corpi all'obitorio dell'ospedale al Galaa della città. Anche fonti mediche dell'ospedale di al-Jala di Bengasi hanno riferito di 250 morti e di 700 feriti durante gli scontri avvenuti ieri pomeriggio tra manifestanti e forze della sicurezza libica fedeli a Muammar Gheddafi, al potere ormai da 41 anni. Gli ospedali di Bengasi hanno lanciato un appello attraverso il sito Lybia Al Youm perchè dicono di non essere più in grado di gestire i feriti che stanno affluendo. Nell'appello chiedono medici, sangue, attrezzature e se possibile aprire ospedali da campo.
A fornire queste cifre è il medico Nabil al-Saaiti il quale in un collegamento telefonico con l'emittente qatariota ha spiegato che «ieri agenti della sicurezza di origine africana reclutati dal regime hanno aperto il fuoco contro i manifestanti e il numero dei morti è tale che non riusciamo a metterli tutti nella camera mortuaria dell'ospedale per identificarli».
Il quotidiano britannico Independent, segnala la circolazione di informazioni che parlano di «200 morti e più di mille feriti», molti più di quanto si era detto fino ad ora. Human Right Watch ha alzato a 104 il numero di morti a Bengasi. Secondo fonti mediche locali, citate dal quotidiano Quryna, considerato vicino al figlio di Gheddafi Seifulislam, è di 24 morti il bilancio della repressione attuata ieri a Bengasi.
Nei dintorni di Bengasi la morte è arrivata anche dal cielo: ieri pomeriggio elicotteri hanno sorvolato i centri di Aguria e Beda uccidendo a colpi di mitragliatrice svariate persone, tra loro anche dei bambini. Lo ha riferito all'Ansa un italiano che lavora in Libia e che, a sua volta, è stato informato dei fatti dalla guardia libica che lo scorta in questi giorni per arrivare incolume all'impresa dove lavora, a Derna, 350 chilometri da Bengasi.
Scontri e vittime a Misurata. Testimoni hanno riferito che ieri vi sono stati «violenti scontri» tra manifestanti e foze dell'ordine anche a Misurata, terza città della Libia, a est di Tripoli. Secondo questi testimoni vi sono stati «morti e feriti» tra i manifestanti scesi nelle strade «a sostegno degli abitanti di Bengasi». Oggi a Misurata sarebbero in strada diecimila manifestanti.
Il sito Libya al Youm riporta voci che danno per dimissionario il ministro dell'interno Abdel Fatah Yunis, che si sarebbe unito ai manifestanti. Lo stesso sito afferma anche che la tribù di Al Farjane, della zona di Sirte, ha deciso di sollevarsi contro il regime del colonnello Gheddafi.
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Rai: Pd, Lega cancella appuntamento da Annunziata per timore rivolta militanti

Roma, 20 feb. - (Adnkronos) - ''La decisione di cancellare l'appuntamento gia' fissato con la trasmissione ''In ½ Ora'' di Lucia Annunziata, e' frutto dell'evidente imbarazzo in cui si trovano gli esponenti della Lega. In questi giorni su Radio Padania e su decine di siti e centinaia di blog leghisti e' andata in scena la rabbia dei militanti . La Lega e' semplicemente in difficolta' e ha il timore di affrontare, anche davanti ai suoi sostenitori, le tante contraddizioni che sta vivendo''. Lo sottolinea Davide Zoggia, responsabile enti locali del Pd.

E' strage in Libia: quasi 300 morti Voci su tentativo di colpo di Stato

Tripoli, 20 feb. (Adnkronos/Aki/Ign) - Nuovi scontri oggi davanti al tribunale di Bengasi e si contano molti morti. E' quanto denuncia una manifestante libica in piazza contro il regime di Muammar Gheddafi, Intisar al-Aqili, nel corso di un collegamento telefonico con la tv araba 'al-Jazeera'. "I militari del battaglione al-Fadil Abu Omar, in buona parte mercenari provenienti da diversi paesi africani - spiega - hanno aperto il fuoco sui manifestanti che celebravano i funerali delle vittime degli scontri di ieri. Ci hanno attaccato con armi pesanti e con l'ausilio degli elicotteri. Al momento non riusciamo a contare quanti morti ci sono in strada".

Anche il sito informativo libico 'Libya al-Youm' denuncia che "i militari inviati dal regime libico per reprimere i manifestanti di Bengasi stanno usando in queste ore armi pesanti contro le persone riunite davanti al tribunale cittadino" come razzi Rpg e armi anti-carro.

"Sparano anche contro le case e contro i manifestanti mentre fuggono da soli per le strade di Bengasi" riferisce un attivista per i diritti umani libico in collegamento telefonico da Bengasi con 'al-Jazeera'. Mentre l'attivista parla si sentono chiaramente i colpi di arma da fuoco che vengono sparati nelle sue vicinanze. "Gruppi di mercenari africani armati stanno sparando in città contro i manifestanti - ha affermato - stanno facendo una strage".

L'attivista per i diritti delle donne, Souad Ahmad, ha inoltre lanciato l'allarme stupri a Bengasi: ''Ci sono i mercenari africani mandati in città che violentano le donne".

Girano voci tra i manifestanti di Bengasi secondo le quali sarebbe in corso un golpe, guidato dal generale Abdelfattah Younis". E' quanto ha affermato il medico dell'ospedale 'al-Jala' di Bengasi, Khalil Ahmad, nel corso di un collegamento telefonico con 'al-Jazeera'. Durante la telefonata con l'emittente qatariota il medico si trovava in via Jamal Abdel Nasser di Bengasi tra i manifestanti ed ha comunicato che "i morti portati oggi solo nel nostro ospedale sono 15 mentre i feriti sono più di 100". Prima di questo ultimo dato fonti mediche avevano parlato di 285 morti in tutto a Bengasi da martedì scorso, quando è iniziata la protesta, ad oggi. Gli ospedali di Bengasi hanno lanciato un appello con cui chiedono medicine e donazioni di sangue, di qualsiasi gruppo sanguigno.
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Dall’amico George al Colonnello del Bunga Bunga

Chi non ha avuto un amico in difficoltà? L’imbarazzo di fronte a certe situazioni difficili ci impone un compassionevole silenzio. Silvio Berlusconi ha confessato di essere molto preoccupato per il suo amico Muammar Gheddafi, il dittatore libico che dopo 40 anni di regime potrebbe essere cacciato come già capitato con i suoi colleghi, prima il tunisino Ben Ali e poi l’egiziano Mubarak. Nessuna parola ovviamente per il popolo oppresso della Libia, che mentre chiede più diritti sta sperimentando ancora una volta la mano dura del regime. Solo ieri i militari hanno ucciso più di 100 persone, sparando sulla folla che protestava.
La parabola di Berlusconi in questo senso è paradigmatica del suo declino. Da fedelissimo di George W Bush, sostenuto a spada tratta anche quando l’ex presidente Usa affondava nei sondaggi di popolarità e nel pantano iracheno, a sodale e amicone dei peggiori autocrati della Terra. Dalla democrazia da esportare alle dittature da importare, con tanti saluti alla coerenza, e alla dignità della nostra politica estera. Da Putin a Gheddafi, i migliori amici del nostro premier sono una rara collezione di figurine dell’orrore.
Le parole di ieri hanno giustamente indignato, e rappresentano un altro tonfo del berlusconismo da esportazione, simile a quando il premier mimò i colpi del mitra ad un giornalista russo che aveva fatto una domanda un po’ scomoda a Putin. Come confermano i file dell’ambascita Usa pubblicati da Wikileaks, Silvio Berlusconi ha considerazione pari a zero, però è molto utile nel suo ruolo di fedele servitore degli interessi altrui. Chi se ne frega dell’Italia, dell’Unione Europea e dei libici massacrati, colui che ha svelato l’esistenza del meraviglioso Bunga Bunga merita eterna riconoscenza.

Del meglio del nostro meglio

Il sequestro di savonaeponente.com, Anonymous contro il Giornale e i guai di Futuro e Libertà

La settimana di Giornalettismo inizia con lavicenda di savonaeponente.com: avevano descritto il premier come un alieno. Dalla Procura accuse di diffamazione, minacce ed istigazione a delinquere, e sito sequestrato.

Tommaso Caldarelli ci racconta dell’attacco diAnonymous al Giornale. Sulle chat degli attivisti sale la rabbia: “Non si attaccano i media: un’altro errore e siete fuori”.

Entro l’anno parte il piano di riqualificazione diTor Bella Monaca voluto da Alemanno. Costosissimo e senza oneri per il Comune. Così dicelui.

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http://www.giornalettismo.com/archives/114657/del-meglio-del-nostro-meglio-22/