Chi non ha avuto un amico in difficoltà? L’imbarazzo di fronte a certe situazioni difficili ci impone un compassionevole silenzio. Silvio Berlusconi ha confessato di essere molto preoccupato per il suo amico Muammar Gheddafi, il dittatore libico che dopo 40 anni di regime potrebbe essere cacciato come già capitato con i suoi colleghi, prima il tunisino Ben Ali e poi l’egiziano Mubarak. Nessuna parola ovviamente per il popolo oppresso della Libia, che mentre chiede più diritti sta sperimentando ancora una volta la mano dura del regime. Solo ieri i militari hanno ucciso più di 100 persone, sparando sulla folla che protestava.
La parabola di Berlusconi in questo senso è paradigmatica del suo declino. Da fedelissimo di George W Bush, sostenuto a spada tratta anche quando l’ex presidente Usa affondava nei sondaggi di popolarità e nel pantano iracheno, a sodale e amicone dei peggiori autocrati della Terra. Dalla democrazia da esportare alle dittature da importare, con tanti saluti alla coerenza, e alla dignità della nostra politica estera. Da Putin a Gheddafi, i migliori amici del nostro premier sono una rara collezione di figurine dell’orrore.
Le parole di ieri hanno giustamente indignato, e rappresentano un altro tonfo del berlusconismo da esportazione, simile a quando il premier mimò i colpi del mitra ad un giornalista russo che aveva fatto una domanda un po’ scomoda a Putin. Come confermano i file dell’ambascita Usa pubblicati da Wikileaks, Silvio Berlusconi ha considerazione pari a zero, però è molto utile nel suo ruolo di fedele servitore degli interessi altrui. Chi se ne frega dell’Italia, dell’Unione Europea e dei libici massacrati, colui che ha svelato l’esistenza del meraviglioso Bunga Bunga merita eterna riconoscenza.
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