Divulgo quello che ... non tutti dicono ... / Perchè il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all'azione. (Edmund Burke)
sabato 28 gennaio 2012
Ius soli, Di Pietro dice sì "Giusta la cittadinanza"
Il leader dell'Idv: "Se una persona nasce qui, ci paga le tasse e alla fine ci muore pure perché non deve averla?". Della Vedova (Fli): "Se ne discuta in Parlamento"
MILANO - Antonio Di Pietro si schiera a favore dello 'ius soli', il diritto cioè alla cittadinanza per tutti i nati in un certo paese, sistema diverso da quello attualmente in vigore in italia che invece dà il passaporto in base al 'sangue' dei genitori. "Sì, sì, sì" allo 'ius soli' - dice a Fabio Fazio durante la registrazione di un'intervista che andrà in onda stasera su Raitre a 'Che tempo che fa' - Se una persona nasce qui, ci paga le tasse e alla fine ci muore pure perché non deve avere la cittadinanza?"
LA CAMPAGNA: MANDATE LE VOSTRE FOTO 1
Favorevole anche il presidente del Verdi Angelo Bonelli: "Non c'è alcuna ragione perchè ai bambini figli di immigrati che nascono in Italia, crescono in Italia e studiano in Italia non sia concessa la cittadinanza italiana. Lo ius soli in Francia è in vigore dal 1515. La cittadinanza basata sullo ius sanguinis è un archetipo del passato che non considera in nessun modo le modificazioni che ci sono state nella società italiana europea e mondiale".
FOTO: I VOLTI DELLA SECONDA GENERAZIONE 2
Il capogruppo di Fli alla Camera, Benedetto Della Vedova, invece, chiama in causa il Parlamento: "E' un argomento che esplicitamente non rientra tra gli impegni e i dossier dell'esecutivo, e dunque la sua discussione non comporta alcun contrasto all'interno della maggioranza. Comporta una dialettica, evidentemente vivace, tra le forze politiche e un dibattito altrettanto vivo nel paese. Una cosa è opporsi a una nuova legge. Altra è opporsi pregiudizialmente all'idea che le Camere ne discutano". Ieri Gianfranco Fini, a Repubblica Tv 3, era tornato a chiedere una legge per la cittadinanza ai figli degli immigrati che siano nati in Italia e abbiano frequentato almeno un ciclo scolastico: "Mi auguro che in questa legislatura il parlamento intervenga su una legge che regoli la cittadinanza, non è una questione da tutti condivisa e certamente ci sarà un dibattito anche abbastanza serrato".
Infine Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, spiega: "Gli stranieri regolari sfiorano ormai 5 milioni in Italia. In una società che cambia così radicalmente, il concetto di cittadinanza non può rimanere quello del 1992 (data della ultima legge in materia ndr) quando gli immigrati erano 500 mila. E non possiamo condannare questi bambini a rimanere nella condizione di immigrato fino ai 18 anni. Sono anche loro il futuro del nostro Paese. Per questo motivo la Uil chiede l'adozione di uno 'ius soli' temperato, concedendo la cittadinanza ai bambini figli di stranieri che completano in Italia il primo ciclo di istruzione scolastica".
LA CAMPAGNA: MANDATE LE VOSTRE FOTO 1
Favorevole anche il presidente del Verdi Angelo Bonelli: "Non c'è alcuna ragione perchè ai bambini figli di immigrati che nascono in Italia, crescono in Italia e studiano in Italia non sia concessa la cittadinanza italiana. Lo ius soli in Francia è in vigore dal 1515. La cittadinanza basata sullo ius sanguinis è un archetipo del passato che non considera in nessun modo le modificazioni che ci sono state nella società italiana europea e mondiale".
FOTO: I VOLTI DELLA SECONDA GENERAZIONE 2
Il capogruppo di Fli alla Camera, Benedetto Della Vedova, invece, chiama in causa il Parlamento: "E' un argomento che esplicitamente non rientra tra gli impegni e i dossier dell'esecutivo, e dunque la sua discussione non comporta alcun contrasto all'interno della maggioranza. Comporta una dialettica, evidentemente vivace, tra le forze politiche e un dibattito altrettanto vivo nel paese. Una cosa è opporsi a una nuova legge. Altra è opporsi pregiudizialmente all'idea che le Camere ne discutano". Ieri Gianfranco Fini, a Repubblica Tv 3, era tornato a chiedere una legge per la cittadinanza ai figli degli immigrati che siano nati in Italia e abbiano frequentato almeno un ciclo scolastico: "Mi auguro che in questa legislatura il parlamento intervenga su una legge che regoli la cittadinanza, non è una questione da tutti condivisa e certamente ci sarà un dibattito anche abbastanza serrato".
Infine Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, spiega: "Gli stranieri regolari sfiorano ormai 5 milioni in Italia. In una società che cambia così radicalmente, il concetto di cittadinanza non può rimanere quello del 1992 (data della ultima legge in materia ndr) quando gli immigrati erano 500 mila. E non possiamo condannare questi bambini a rimanere nella condizione di immigrato fino ai 18 anni. Sono anche loro il futuro del nostro Paese. Per questo motivo la Uil chiede l'adozione di uno 'ius soli' temperato, concedendo la cittadinanza ai bambini figli di stranieri che completano in Italia il primo ciclo di istruzione scolastica".
Giustizia, Italia agli ultimi posti nel mondo: conto da 96 mld per gli arretrati
La lentezza dei processi frena la crescita per cittadini, imprese e investimenti esteri con costi enormi per il Paese. Ai fascicoli accumulati, che superano i 6 milioni, si devono aggiungere i 3,5 milioni circa di procedimenti penali. Le sole pratiche relative ai procedimenti civili pendenti occuperebbero una superficie pari a 74 campi da calcio grandi come San Siro. Una montagna di carta che, in termini economici, si traduce in quasi 96 miliardi di euro di mancata ricchezza.
La Lega Araba sospende la missione degli osservatori in seguito alle violenze in Siria
La decisione è stata presa dal segretario generale della Lega Araba Nabil al-Arabi e non dai ministri degli Esteri arabi, ha precisato Khodair. Al momento non è stata fornita alcuna indicazione sulla data in cui la missione riprenderà, ma comunque ''quando la situazione migliorerà'', ha spiegato Khodair.
Giglio, trovato il cadavere di una donna. 17esima vittima, membro dell'equipaggio
Il corpo, individuato sul ponte 6, è stato trovato senza il giubbotto di salvataggio addosso. ''La donna risulterebbe essere un membro dell'equipaggio in quanto indossava la divisa di servizio''. Lo comunica la struttura del Commissario delegato per l'emergenza del naufragio della Costa Concordia, sulla base ''delle ulteriori informazioni pervenute''.
Torino, diecimila al corteo No Tav Sfilano le 'macerie' di Chiomonte
A sfilare per le vie del centro, sotto un misto di pioggia e neve, alcune migliaia di persone, diecimila secondo gli organizzatori, arrivate con bus, treni e mezzi privati. Tra loro anche un gruppo di ragazzi Milano con lo striscione 'Dalla Valsusa a Milano paura non ne abbiamo' e i nomi degli arrestati milanesi e un gruppo di anarchici in nero con uno striscione che recitava 'Il tempo dell'attesa è finito. Blocchiamo tutto'.
Continua ...
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Torino-diecimila-al-corteo-No-Tav-Sfilano-le-macerie-di-Chiomonte_312912760793.html
Stefano Cucchi, la perizia shock
Pestato a sangue, dicono i risultati. Poliziotti a processo
Il Messaggero pubblica i risultati della perizia Cucchi presentati ieri in tribunale:
Vittorio Fineschi, 52 anni, docente di Medicina Legale a Foggia,capo del team ingaggiato dai Cucchi, ieri ha detto chiaro e tondo di pensarla in modo sideralmente opposto. Fabio Anselmo, legale della famiglia, ha chiesto che «a questo punto l’imputazione contro gli agenti sia trasformata in omicidio» (ora è lesioni, ndr). «Al di là delle ipotesi – ha detto Fineschi – ci sono i fatti. Medici diversi constatarono le ecchimosi sul volto e alla schiena. Una radiografia ha certificato una frattura a una vertebra lombare e l’autopsia ha confermato tutto questo. Sono elementi incontestabili da cui nasceunaconvinzione: lelesioni subite da Cucchi sono intimamente legate al decesso».
Il pestaggio ricostruito dall’accusa sarebbe dunque l’innesco della tragedia:
«Con il passare delle ore – ha proseguito Fineschi – la lesione alla vertebraha alterato il funzionamento della vescica. In ospedale non ci si rese conto della situazione. Il catetere messo al detenuto finì fuori sede, le urine si accumularono». L’autopsia ha accertato un ristagno: un litro e mezzo. «Questa condizione - ha sostenuto lo specialista – ha provocato un problema di circolo sanguigno e la morte». Causa ultima: «Edema polmonare acuto in un soggetto politraumatizzato in decubito coatto con quadro di insufficienza cardiaca». Dietro i termini un po’ professorali si nasconde la totale divergenza di vedute tra parte civile e Procura. I periti non concordano su nulla.Quelli del pm ad esempio pensano che la frattura alla vertebra risalisse a molto tempo fa perché «c’era callo osseo» e perché «se ne parla in una vecchia cartella clinica ».
I consulenti dei Cucchi la ritengono così recente da avercausato i danni alla vescica e tutto il resto:
Per i giudici non sarà un gioco districarsi in un tale labirinto. Prossima udienza il 9 febbraio. Di certo quella di ieri ha fornito frecce all’arco dei Cucchi. «Nonso perché i consulenti dell’accusa abbiano certe posizioni – ha detto la sorella di Stefano – Non voglio pensare né a disegni né ad altro. Ma i nostri periti stanno fornendo spiegazioni scientifiche che gli altri non ci hanno dato».
Religione a scuola: quando lo Stato rinuncia al suo ruolo
di Cinzia Sciuto
È tempo di iscrizioni scolastiche, che riguardano milioni di famiglie alle prese con la scelta della scuola per il prossimo anno. Sui moduli delle scuole statali, a partire addirittura dalla scuola dell’infanzia, tra i vari campi da riempire c’è anche quello «per l’esercizio del diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica». Una manifestazione di libertà, si dice. Un’abdicazione dello Stato al suo ruolo, in verità.
I genitori che ritengono che il posto della religione non sia nella scuola (pubblica) ma nelle chiese e nelle case, possono richiedere che il figlio esca dall’aula quando entra l’insegnante di religione. Per andare dove? A fare cosa? Quando va bene, la scuola organizza non meglio specificate «attività sostitutive», quando va male i bambini-ragazzi bighellonano per i corridoi in attesa che finisca l’ora di religione oppure entrano o escono prima da scuola se si tratta delle ore iniziali o finali della giornata scolastica. Per cui l’«alternativa» che si presenta al genitore è una sorta di segregazione: mentre (quasi) tutti i tuoi compagni rimangono in classe, tu (insieme a pochi altri) devi uscire e inventarti qualcos’altro da fare. Scelta di cui poi bisogna in qualche modo rendere conto ai figli, e molto probabilmente è più semplice spiegare a un bambino di 3 anni che l’uomo è un animale venuto fuori dopo centinaia di migliaia di anni di evoluzione naturale, piuttosto che fargli capire perché quando arriva la maestra di religione lui deve uscire dall’aula.
Ora, i casi sono due: o l’insegnamento della religione cattolica è parte integrante della formazione che la scuola pubblica intende dare ai suoi alunni, e allora non può essere consentito a nessuno di rinunciarvi, esattamente come nessun genitore può pretendere che il figlio non segua le lezioni di italiano, matematica e persino di educazione fisica; oppure l’insegnamento della religione cattolica è questione demandata alle scelte della famiglia, e allora non si capisce perché queste scelte debbano essere realizzate a scuola. La formazione dei propri figli è una questione complessa, nella quale entrano diverse «agenzie» formative, con ruoli distinti. Dopo la scuola, ogni famiglia decide in completa autonomia come «integrare» la formazione dei figli e sarebbe del tutto insensato pretendere che la scuola (pubblica) copra interamente lo spettro delle opzioni formative delle famiglie.
Uno Stato confessionale ha il pieno diritto di prevedere nell’ambito dei curricula scolastici della scuola pubblica l’insegnamento della religione, poiché in questo modello statuale essa costituisce non già un aspetto della vita privata delle persone, ma parte integrante (e anzi fondamentale) della formazione «civica» dei cittadini. I Patti Lateranensi, recepiti nell’articolo 7 della nostra Costituzione, fino alla loro revisione del 1984, definivano la religione cattolica «religione di Stato» ed era pertanto comprensibile e, a rigor di logica, persino doveroso che lo Stato la inserisse tra gli insegnamenti obbligatori della scuola pubblica.
Nel 1984 però quella clausola fu abolita e la religione cattolica è (dovrebbe essere) oggi una religione al pari delle altre (sebbene continui a godere di uno status privilegiato, ormai non più giustificato), tanto che proprio quella revisione, abolendo la «religione di Stato», abolì anche l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica. Se non c’è una religione «di Stato», la religione diventa questione privata, personalissima che può rappresentare per molti (al limite: per tutti) un’aspetto centrale della propria vita e che può ovviamente esprimersi pubblicamente in tutte le forme e i limiti garantiti dalla libertà di espressione e associazione di tutti i cittadini, ma non può costituire insegnamento in una scuola pubblica.
E scaricare sui genitori la scelta rivela soltanto la debolezza di uno Stato, incapace di assumersi la responsabilità della formazione dei propri cittadini.
È tempo di iscrizioni scolastiche, che riguardano milioni di famiglie alle prese con la scelta della scuola per il prossimo anno. Sui moduli delle scuole statali, a partire addirittura dalla scuola dell’infanzia, tra i vari campi da riempire c’è anche quello «per l’esercizio del diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica». Una manifestazione di libertà, si dice. Un’abdicazione dello Stato al suo ruolo, in verità.
I genitori che ritengono che il posto della religione non sia nella scuola (pubblica) ma nelle chiese e nelle case, possono richiedere che il figlio esca dall’aula quando entra l’insegnante di religione. Per andare dove? A fare cosa? Quando va bene, la scuola organizza non meglio specificate «attività sostitutive», quando va male i bambini-ragazzi bighellonano per i corridoi in attesa che finisca l’ora di religione oppure entrano o escono prima da scuola se si tratta delle ore iniziali o finali della giornata scolastica. Per cui l’«alternativa» che si presenta al genitore è una sorta di segregazione: mentre (quasi) tutti i tuoi compagni rimangono in classe, tu (insieme a pochi altri) devi uscire e inventarti qualcos’altro da fare. Scelta di cui poi bisogna in qualche modo rendere conto ai figli, e molto probabilmente è più semplice spiegare a un bambino di 3 anni che l’uomo è un animale venuto fuori dopo centinaia di migliaia di anni di evoluzione naturale, piuttosto che fargli capire perché quando arriva la maestra di religione lui deve uscire dall’aula.
Ora, i casi sono due: o l’insegnamento della religione cattolica è parte integrante della formazione che la scuola pubblica intende dare ai suoi alunni, e allora non può essere consentito a nessuno di rinunciarvi, esattamente come nessun genitore può pretendere che il figlio non segua le lezioni di italiano, matematica e persino di educazione fisica; oppure l’insegnamento della religione cattolica è questione demandata alle scelte della famiglia, e allora non si capisce perché queste scelte debbano essere realizzate a scuola. La formazione dei propri figli è una questione complessa, nella quale entrano diverse «agenzie» formative, con ruoli distinti. Dopo la scuola, ogni famiglia decide in completa autonomia come «integrare» la formazione dei figli e sarebbe del tutto insensato pretendere che la scuola (pubblica) copra interamente lo spettro delle opzioni formative delle famiglie.
Uno Stato confessionale ha il pieno diritto di prevedere nell’ambito dei curricula scolastici della scuola pubblica l’insegnamento della religione, poiché in questo modello statuale essa costituisce non già un aspetto della vita privata delle persone, ma parte integrante (e anzi fondamentale) della formazione «civica» dei cittadini. I Patti Lateranensi, recepiti nell’articolo 7 della nostra Costituzione, fino alla loro revisione del 1984, definivano la religione cattolica «religione di Stato» ed era pertanto comprensibile e, a rigor di logica, persino doveroso che lo Stato la inserisse tra gli insegnamenti obbligatori della scuola pubblica.
Nel 1984 però quella clausola fu abolita e la religione cattolica è (dovrebbe essere) oggi una religione al pari delle altre (sebbene continui a godere di uno status privilegiato, ormai non più giustificato), tanto che proprio quella revisione, abolendo la «religione di Stato», abolì anche l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica. Se non c’è una religione «di Stato», la religione diventa questione privata, personalissima che può rappresentare per molti (al limite: per tutti) un’aspetto centrale della propria vita e che può ovviamente esprimersi pubblicamente in tutte le forme e i limiti garantiti dalla libertà di espressione e associazione di tutti i cittadini, ma non può costituire insegnamento in una scuola pubblica.
E scaricare sui genitori la scelta rivela soltanto la debolezza di uno Stato, incapace di assumersi la responsabilità della formazione dei propri cittadini.
Ue, Fitch taglia rating cinque paesi tra cui Italia
I soldi recuperati dall'evasione saranno usati per ridurre l'Irpef
Il piano sgravi del governo. Il Tesoro vuole inserire nella legge delega l'obbligo di destinare il "tesoretto" a misure di detassazione. C'è incertezza sui tempi dell'operazione: potrebbe scattare verso la fine dell'anno. Se arrivano 15 miliardi, aliquota dal 23 al 20 per cento
di VALENTINA CONTE
Obbligo di destinare ogni anno quanto recuperato dal contrasto all'evasione fiscale per la riduzione delle tasse. Una norma di principio, nuova e rivoluzionaria, potrebbe spuntare nella delega fiscale che il governo Monti si appresta a presentare. E aprire così, dopo rigore e crescita, puntualmente tradotte nei decreti Salva-Italia e Cresci-Italia, la "fase tre", tutta dedicata all'equità.
Una sorpresa gradita ai contribuenti onesti che pagano le tasse. I frutti potrebbero essere visibili presto, già entro l'anno per le feste natalizie, o più probabilmente nel 2013, quando parte del "tesoretto" recuperato con una sempre più intensa e visibile lotta all'evasione ritornerebbe nelle tasche degli italiani, almeno di quelli più bisognosi e a basso reddito. L'ipotesi, allo studio del governo, si sostanzierebbe in una norma di principio da inserire nella famosa delega fiscale da 20 miliardi, eredità della manovra di agosto di Tremonti. Accanto dunque al riordino mirato di agevolazioni e detrazioni - non sarà una rasoiata orizzontale, assicura il ministero dell'Economia - sostenuto dall'aumento dell'Iva a partire dal primo ottobre prossimo (due punti in più), l'ipotesi sarebbe quella di destinare almeno 10-15 miliardi (qualora l'incasso del gettito recuperato lo consentisse) alla riduzione del primo scaglione di Irpef dal 23 al 20%. Oppure di rimpolpare specifiche detrazioni per famiglie, lavoratori e pensionati.
Una buona notizia che rinsalda il patto sociale Stato-cittadino, eroso da promesse non sempre mantenute, visto che nell'ultimo decennio tutti i governi, senza eccezione, si sono nutriti dell'annuncio più gettonato: "Abbasseremo le tasse grazie alla lotta all'evasione". Annuncio spesso senza seguito. L'ultima importante redistribuzione in tal senso che si ricordi è targata Finanziaria 2000 sotto il breve governo Amato, con sgravi corposi che arrivarono a circa 30 mila miliardi di lire. A distanza, ci fu il bonus incapienti di Prodi-Padoa Schioppa. E poco più. Tuttavia la pressione fiscale non è mai scesa in modo significativo. E la finanza pubblica italiana ha via via anteposto l'obiettivo di risanamento a quello della restituzione. Bastone e carota. Ora ci prova il governo Monti.
Obbligo di destinare ogni anno quanto recuperato dal contrasto all'evasione fiscale per la riduzione delle tasse. Una norma di principio, nuova e rivoluzionaria, potrebbe spuntare nella delega fiscale che il governo Monti si appresta a presentare. E aprire così, dopo rigore e crescita, puntualmente tradotte nei decreti Salva-Italia e Cresci-Italia, la "fase tre", tutta dedicata all'equità.
Una sorpresa gradita ai contribuenti onesti che pagano le tasse. I frutti potrebbero essere visibili presto, già entro l'anno per le feste natalizie, o più probabilmente nel 2013, quando parte del "tesoretto" recuperato con una sempre più intensa e visibile lotta all'evasione ritornerebbe nelle tasche degli italiani, almeno di quelli più bisognosi e a basso reddito. L'ipotesi, allo studio del governo, si sostanzierebbe in una norma di principio da inserire nella famosa delega fiscale da 20 miliardi, eredità della manovra di agosto di Tremonti. Accanto dunque al riordino mirato di agevolazioni e detrazioni - non sarà una rasoiata orizzontale, assicura il ministero dell'Economia - sostenuto dall'aumento dell'Iva a partire dal primo ottobre prossimo (due punti in più), l'ipotesi sarebbe quella di destinare almeno 10-15 miliardi (qualora l'incasso del gettito recuperato lo consentisse) alla riduzione del primo scaglione di Irpef dal 23 al 20%. Oppure di rimpolpare specifiche detrazioni per famiglie, lavoratori e pensionati.
Una buona notizia che rinsalda il patto sociale Stato-cittadino, eroso da promesse non sempre mantenute, visto che nell'ultimo decennio tutti i governi, senza eccezione, si sono nutriti dell'annuncio più gettonato: "Abbasseremo le tasse grazie alla lotta all'evasione". Annuncio spesso senza seguito. L'ultima importante redistribuzione in tal senso che si ricordi è targata Finanziaria 2000 sotto il breve governo Amato, con sgravi corposi che arrivarono a circa 30 mila miliardi di lire. A distanza, ci fu il bonus incapienti di Prodi-Padoa Schioppa. E poco più. Tuttavia la pressione fiscale non è mai scesa in modo significativo. E la finanza pubblica italiana ha via via anteposto l'obiettivo di risanamento a quello della restituzione. Bastone e carota. Ora ci prova il governo Monti.
Continua ...
Dal G8 a Scajola, da Calciopoli a Parmalat I processi su cui incombe il colpo di spugna
Molti procedimenti sono saltati o corrono questo rischio, come quello che vede imputato Berlusconi. La legge Cirielli ha dimezzato i tempi per perseguire i reati, ora la magistratura propone di riallungarli
SULLA PRESCRIZIONE "parlano" i processi - tanti e importanti, dal G8 alla casa di Scajola, alla clinica Santa Rita, ai dossier Telecom, a Calciopoli, a Parmalat, alle stragi per l'amianto di Palermo e Torino, ai rifiuti di Napoli, ai casi Fitto e Tarantini, a Penati - che vivono una vita accidentata, sono saltati o rischiano di saltare, comunque arrancano verso la sentenza. Spesso con il senso di frustrazione di arrivare soltanto fino al primo grado. Quello di Mills non è certo un caso isolato. Un viaggio nelle inchieste e nei dibattimenti sparsi in Italia rivela subito che in pericolo sono soprattutto i processi per corruzione. Che avrebbero vissuto o vivrebbero una situazione diversa se il calcolo dei tempi concessi all'azione penale fosse diverso da quello attuale, stretto nel massimo della pena più un quarto. Alle spalle la legge Cirielli del dicembre 2005 che ha tagliato a metà lo spazio in cui lo Stato può perseguire l'azione penale. Una prescrizione allungata o congelata nel momento stesso in cui il giudice dà il via al rinvio a giudizio, come hanno proposto il vice presidente del Csm Michele Vietti e il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo, cambierebbe la storia delle inchieste. Naturalmente di quelle future. Perché se oggi si facesse una nuova norma, esse non potrebbe valere per i processi in corso, per la stessa ragione per cui le leggi ad personam di Berlusconi non sarebbero dovute valere per le indagini già aperte. A partire dalle sue.
Continua ...
Il film anti-islam della polizia di New York
La pellicola veniva mostrata alle reclute durante l’addestramento
Terroristi islamici che sparano in testa ai cristiani, autobombe che esplodono, bambini uccisi stesi per terra, una bandiera islamica che sventola sulla Casa Bianca e una voce narrante che tuona: “Questi sono i veri piani dell’Islam in America. Una strategia per infiltrarsi e dominare l’America. Questa e’ la guerra che non conoscete”.
LO SHOW – Queste e altre sono le immagini che 1.489 agenti della polizia di New York hanno dovuto vedere come parte del loro training nel 2010. Sono contenute in “The third Jihad”, un film finanziato da un’associazione no-profit. La storia,raccontata da un’inchiesta del New York Times, era esplosa a gennaio del 2011 scorso ma la polizia aveva provato a negare dichiarando che il film era stato mostrato “qualche volta, per sbaglio”. Un anno dopo, documenti ottenuti grazie alle regole sulla libertà di stampa, hanno rivelato che “The Third Jihad” veniva mostrato “in continuazione” durante tutto il periodo della formazione.
LA REAZIONE – Nel film di 72 minuti anche un’intervista al capo della polizia Ray Kelly, di recente travolto dalle polemiche per le accuse di violenza sessuale rivolte al figlio. Immediata la reazione della comunita’ musulmana di New York: alcuni hanno protestato davanti alla sede del municipio, altri hanno chiesto le dimissioni di Kelly. Il film, di 72 minuti, è stato finanziato dal Clarion Fund, un gruppo no profit che conta tra i suoi membri un antico componente dello staff di Ronald Reagan e un ex componente della CIA.
Continua ...
Famiglie, atenei e carte d'identità L'Italia più facile
Un «voto» per i manager pubblici. Il libretto universitario solo online
Mario Monti (Eidon/Riccardo Antimiani)
Il decreto-legge «semplifica Italia» è stato approvato ieri dal Consiglio dei ministri dopo una riunione durata sei ore. È il terzo «pacchetto» di interventi legislativi urgenti adottato in due mesi, per rimettere in moto l'Italia. Si tratta di una riforma strutturale che introduce semplificazioni per i cittadini e per il mondo dell'economia nei loro rapporti con la Pubblica Amministrazione, in linea con le raccomandazioni della Commissione Europea e di altre istituzioni internazionali. Il Paese nel suo complesso risparmierà molto tempo e molto denaro.
Vantaggi per i cittadini
Le misure di semplificazione per i cittadini si propongono di migliorare la qualità dei rapporti che ciascuno di noi ha quotidianamente con le strutture pubbliche. Innanzitutto, il cittadino avrà diritto ad ottenere risposte e tempi certi. Non più, dunque, lunghe attese per ottenere un documento, moduli amministrativi complicati e uffici pubblici inaccessibili. Il cambio di residenza, ad esempio, avverrà con modalità telematica e produrrà immediatamente, al momento della dichiarazione, i suoi effetti giuridici in modo da evitare i gravi disagi determinati dalla lunghezza degli attuali tempi di attesa. Una novità che riguarda quasi un milione e mezzo di italiani.
L'iscrizione nelle liste elettorali, i certificati anagrafici o il rinnovo dei documenti di identità (nel giorno del compleanno, per evitare gli inconvenienti che derivano spesso dal non ricordarsi della scadenza), la partecipazione ai concorsi pubblici: oltre 7 milioni di comunicazioni ogni anno verranno effettuate esclusivamente in via telematica. I cittadini avranno tempi più rapidi nella trascrizione degli atti di stato civile (nascita, matrimonio e morte). Inoltre, con la medesima modalità sono previste le comunicazioni tra Comuni e Questure relative ai cartellini delle carte d'identità e alle iscrizioni, cancellazioni e variazioni anagrafiche degli stranieri. Questo consentirà un risparmio quantificabile in almeno 10 milioni di euro all'anno (tenendo conto solo delle spese di spedizione).
Le persone disabili potranno usare il verbale di accertamento dell'invalidità (anziché le attuali plurime attestazioni medico-legali) per ottenere anche i contrassegni per parcheggiare nel centro storico, l'esenzione dal bollo e dall'imposta di trascrizione al Pra, e il regime agevolato di Iva per l'acquisto dell'auto. Sarà più semplice per i guidatori ultraottantenni rinnovare la patente (per due anni). Nuova sperimentazione della social card nei Comuni con più di 250mila abitanti. Il «bollino blu» per le auto, che oggi deve essere rinnovato annualmente, sarà contestuale alla revisione dell'auto che avviene la prima volta dopo quattro anni e poi con cadenza biennale. Viene semplificata la procedura per l'astensione anticipata dal lavoro per le donne in gravidanza. Lo scambio dati tra enti erogatori di interventi e servizi sociali permetterà all'Inps di entrare in possesso delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse, e di accendere un faro sugli abusi.
Le misure di semplificazione per i cittadini si propongono di migliorare la qualità dei rapporti che ciascuno di noi ha quotidianamente con le strutture pubbliche. Innanzitutto, il cittadino avrà diritto ad ottenere risposte e tempi certi. Non più, dunque, lunghe attese per ottenere un documento, moduli amministrativi complicati e uffici pubblici inaccessibili. Il cambio di residenza, ad esempio, avverrà con modalità telematica e produrrà immediatamente, al momento della dichiarazione, i suoi effetti giuridici in modo da evitare i gravi disagi determinati dalla lunghezza degli attuali tempi di attesa. Una novità che riguarda quasi un milione e mezzo di italiani.
L'iscrizione nelle liste elettorali, i certificati anagrafici o il rinnovo dei documenti di identità (nel giorno del compleanno, per evitare gli inconvenienti che derivano spesso dal non ricordarsi della scadenza), la partecipazione ai concorsi pubblici: oltre 7 milioni di comunicazioni ogni anno verranno effettuate esclusivamente in via telematica. I cittadini avranno tempi più rapidi nella trascrizione degli atti di stato civile (nascita, matrimonio e morte). Inoltre, con la medesima modalità sono previste le comunicazioni tra Comuni e Questure relative ai cartellini delle carte d'identità e alle iscrizioni, cancellazioni e variazioni anagrafiche degli stranieri. Questo consentirà un risparmio quantificabile in almeno 10 milioni di euro all'anno (tenendo conto solo delle spese di spedizione).
Le persone disabili potranno usare il verbale di accertamento dell'invalidità (anziché le attuali plurime attestazioni medico-legali) per ottenere anche i contrassegni per parcheggiare nel centro storico, l'esenzione dal bollo e dall'imposta di trascrizione al Pra, e il regime agevolato di Iva per l'acquisto dell'auto. Sarà più semplice per i guidatori ultraottantenni rinnovare la patente (per due anni). Nuova sperimentazione della social card nei Comuni con più di 250mila abitanti. Il «bollino blu» per le auto, che oggi deve essere rinnovato annualmente, sarà contestuale alla revisione dell'auto che avviene la prima volta dopo quattro anni e poi con cadenza biennale. Viene semplificata la procedura per l'astensione anticipata dal lavoro per le donne in gravidanza. Lo scambio dati tra enti erogatori di interventi e servizi sociali permetterà all'Inps di entrare in possesso delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse, e di accendere un faro sugli abusi.
Continua ...
Sisma vicino Parma, oggi scuole chiuse
(ANSA) - ROMA - Un sisma di magnitudo 5.4 è stato avvertito ieri dalla Svizzera all'Umbria e ha avuto per epicentro l'Emilia. Alla prima sono seguite altre due scosse di minore intensità. Scuole chiuse oggi in alcune province, fra cui Parma e Carrara. Crolla il tetto in una chiesa a Massa: illesi i fedeli. Slitta a domani il pompaggio del carburante dalla Costa Concordia.
Iscriviti a:
Post (Atom)