Negli anni il tempo sta cambiando e non è solo un luogo comune dire che non esistono più le mezze stagioni. Le temperature cambiano da un giorno all’altro, e si passa dal freddo al caldo senza vie di mezzo. Freddo polare nel centro Italia e temperature miti in Alaska. Ma la domanda è: perché? Cosa sta succedendo al nostro pianeta?
Negli anni il tempo sta cambiando e non è solo un luogo comune dire che non esistono più le mezze stagioni. Le temperature cambiano da un giorno all’altro, e si passa dal freddo al caldo senza vie di mezzo. Freddo polare nel centro Italia e temperature miti in Alaska. Ma la domanda è: perché? Cosa sta succedendo al nostro pianeta?
È meglio precisare sin da subito che la causa maggiore è l’aumento dell’effetto serra e dell’anidride carbonica, seguito dalla deforestazione eccessiva. Tutto ciò comporta come conseguenza ghiacciai sciolti e mari eccessivamente caldi, senza contare lo squilibrio atmosferico. Il WWF, nel rapporto Arctic climate feedbacks: global implications, precisa che nel 2100 il livello degli oceani potrebbe esser aumentato di più di un metro. La zona artica si sta riscaldando due volte più in fretta della Terra e questo comporta inverni rigidi in Europa e America del Nord. La deforestazione è un altro elemento fondamentale per il clima. Ogni anno vengono persi 13 milioni di ettari di alberi che assorbivano la CO2. L’anidride carbonica, dal 1972 ad oggi sarebbe aumentata del 22%, da 320 a 390 parti per milioni, a denunciarlo è il quotidiano La Repubblica del 7 febbraio. Così mentre a Roma nevicava ed il termometro segnava gradi sotto lo zero, l’Australia superava i 41 gradi, record dal 1900.
Quindi ricapitolando, l’inquinamento aumenta l’emissione di CO2 che, con la deforestazione massiccia, viene assorbita di meno dagli alberi e affonda nei mari alterandone la temperatura. Con l’ascesa del grado di calore marino, le calotte si sciolgono, e aumenta il livello del mare erodendo le coste terrestri. In Italia, stando ai dati pubblicati dall’Enea, 1.384 km verranno consumati dal mare in questi anni. Altra conseguenza è l’aumento considerevole delle piogge acidificate dalla sempre colpevole anidride carbonica. Le specie animali che non sono repentinamente in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici sono a rischio, il 20 per cento delle specie, sarebbe, infatti a rischio.
Per evitare la catastrofe, i paesi industrializzati dovrebbero ridurre di almeno il 40% le emissioni di CO2, entro il 2020, azione che sembrano restii a compiere. Perché?
Dall’Australia arriva un tentativo intelligente di risolvere la questione. Il premier Julia Gillard, a partire da luglio 2012, tasserà l’emissione di anidride carbonica. Con il carbon tax, infatti, sarebbe un’imposta di 17,2 € per tonnellata di CO2 emessa dalle industrie. “Ogni centesimo pagato dai grandi inquinatori potrà essere usato per aiutare le famiglie, proteggere posti di lavoro e finanziare programmi per affrontare i cambiamenti climatici,” ha scritto il premier sul suo blog. La prontezza e risolutezza femminile sembra aver avuto la meglio. Ma non è stata l’unica. La Finlandia è stato il primo Paese al mondo ad introdurla, nel 1990. 20 euro per tonnellata. Subito dopo in Svezia e Norvegia, poi nei Paesi Bassi, Danimarca e Costa Rica. La Svizzera più tardiva nel 2008 anche se le emissioni sono rimaste stabili. Persino in India, nel 2010 e nello stesso anno in Irlanda. Ma questi sono Paesi “piccoli” in confronto all’America, alla Cina, alla Russia. Perché gli altri paesi non hanno aderito? Perché l’Italia non approfondisce il tema ambientale?
L’Australia è tra le maggiori responsabili di emissione per via della sua dipendenza dalle centrali elettriche a carbone. Esporta, inoltre, tonnellate di carburante ogni anno in Asia. Con la carbon tax, negli anni a venire 14.100 persone perderebbero il lavoro occupato nel settore. È pur vero che, le emissioni ci CO2 potrebbero persino aumentare per via dello sfruttamento degli unici Paesi che rimarrebbero ostili a questa iniziativa. Bisognerebbe quindi prendere decisioni definitive in tutto il mondo. Ma quanti sono disposti a far meno soldi per salvare il pianeta nel quale vivono? Anche se, potrebbero ritenersi rincuorati se solo pensassero che nuove tecnologie e iniziative potrebbero portare nuovi
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