«Non c’è il pensiero unico. Brancher? Evitare i sospetti». «Controcanto sterile. Così comunisti al governo».
ROMA — Quasi un duello, cominciato con complimenti in punta di fioretto e finito a sciabolate, con Gianfranco Fini che affonda sui casi Brancher, Cosentino, sulla «sudditanza» del partito verso la Lega, sul «diritto al dissenso» e Sandro Bondi che risponde «amareggiato», dice che il presidente della Camera sta diventando «un serio impedimento al partito» e paventa l’arrivo dei «comunisti». Le premesse di uno scontro — nel dibattito organizzato da Alessandro Campi direttore della nuova «Rivista di Politica» — ci sono tutte. Il moderatore Pierluigi Battista dà il la. Fini comincia cauto, ma getta subito qualche seme dello scontro incipiente, invitando a ripensare l’ossessione per la società civile: «La politica—dice—non è improvvisazione, non è sondaggio. Non è insultante essere professionisti della politica». A Berlusconi forse ronzano le orecchie, ma Bondi opta per un’apertura di credito: «Mettiamo da parte le cose che ci dividono e partiamo dalle cose che ci uniscono, come la riduzione dei parlamentari e la fine del bicameralismo perfetto». Fini non raccoglie, attacca la legge elettorale dei «nominati» e passa alla democrazia nel partito: «Non si può dire segui la linea sennò sei fuori. Dico una cosa un po’ cattivella, le espulsioni per eresia accadevano nei partiti non liberali, nel Pci e anche nell’Msi.
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