martedì 3 giugno 2008

Meglio soffrire in silenzio - Gli psicologi lanciano l’allarme: "Non è vero che sfogarsi fa bene"

Uno degli aneddoti più curiosi della storia militare riguarda la battaglia di Waterloo. Una cannonata francese esplose a poca distanza da Lord Uxbridge e dal Duca di Wellington, che stavano osservando lo spettacolo della cavalleria inglese all’inseguimento del maresciallo Ney in ritirata. Quando il fumo si diradò, Uxbridge disse al suo comandante: «Per Dio signore, ho perduto una gamba». Wellington guardò il moncone sanguinante sulla staffa della sella e rispose: «By God, sir... credo proprio di sì». L’episodio è spesso citato a conferma di quell’atteggiamento tipicamente britannico che consiste nel non dare eccessiva importanza alle cose e nel non ostentarle. «Never complain and never explain» (mai lamentarsi e mai dare spiegazioni) è un motto che è stato alla base della storia imperiale inglese e che caratterizza ancora oggi il comportamento della famiglia reale, oltre che di ogni vero gentleman. Finora si riteneva che il «tenersi tutto dentro» non fosse proprio la terapia giusta per superare un evento negativo, e che questo eccesso di riservatezza rendesse gli inglesi un popolo tormentato e infelice, che non parla dei propri traumi preferendo annegarli in numerosi boccali di birra. Ma una lunga e articolata ricerca condotta dallo psicologo Mark Seery e pubblicata sul numero di giugno del «Journal of consulting and clinical psychology» ha dimostrato che soffrire in silenzio porta spesso più benefici che ostentare apertamente il proprio dolore.
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